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Tecniche di propagazione. Demiurghi da laboratorio

Idea originaria della propagazione in laboratorio

Molto probabilmente, i birrai a cui è passata per la testa l’idea di realizzare una Brett Beer si sono dapprima chiesti dove reperire un ceppo brett puro già pronto, approdando dopo varie difficoltà all’idea di farselo produrre da un laboratorio. Altrettanto probabilmente la metà di questi ha poi visto il tecnico di laboratorio fingere un malore dopo aver sentito “Brett[…]”.

In effetti, la propagazione “in casa” di lieviti in generale non è un mestiere per tutti, non tanto per la complessità del lavoro, quanto perché potrebbe essere ingiustificato, c’è un compromesso risorse/risultato da valutare. Usando i Brett però, il discorso si ribalta, e soprattutto i vincoli tecnici per volerlo/poterlo usare e poterlo propagare aumentano, da qui la scarsa diffusione di questi interessanti funghetti.

 

Costruzione del propagatore in garage

Abbiamo già raccontato perché abbiamo scelto di propagarci il lievito. Ora vi spieghiamo come lo facciamo. Mi interessa fare però una premessa: la nostra cantina è un ambiente fortemente cross-contaminato. Lo scambio microbiologico tra le botti è inevitabile ed è accettato, motivo per cui anche se è importante propagare un ceppo in purezza, alla fine della propagazione seguirà una contaminazione certa. Per questo, Ca’ del Brado può permettersi ricerca e sperimentazione sulle macchine e sulle tecniche, passi avanti e indietro, un laboratorio attrezzato in modo essenziale, in modo coerente con la filosofia brada.

 

Propagazione Batch vs Fed-batch

Nel prossimo articolo, già promesso tempo fa, vi parleremo di come abbiamo realizzato il propagatore. Oggi vogliamo parlarvi invece di come si comporta il lievito, nell’ottica del birraio, quando vogliamo replicarlo. In effetti, prima di progettare un sistema di propagazione bisogna aver capito di necessitarne, aver compreso cioè se è sufficiente lavorare con starter classici.

Beute in propagazione batch

La propagazione batch è una tecnica classica e diffusa, raccomandata per produrre starter dai produttori di lievito, perché è semplice da gestire. In sintesi, si tratta di una vera e propria mini-fermentazione. Nella propagazione batch infatti le cellule, poste in un substrato di mosto con un grado saccarometrico elevato, si replicano con una cinetica molto rapida, consumando ossigeno, carboidrati, proteine e grassi, abbassando il pH del mosto e producendo nel mentre anidride carbonica ed alcool. La replicazione, dopo un po’, termina per due motivi: o quando una qualsiasi di queste fonti viene esaurita (mai), oppure (sempre) quando la concentrazione di alcool supera la soglia tollerata dal lievito. Purtroppo, somministrare ossigeno, ad esempio usando un agitatore magnetico, aiuta ad espellere alcool e CO2, ma non risolve il problema: con la concentrazione di glucosio elevata, anche in presenza di ossigeno, il metabolismo del lievito non riesce ad essere aerobico ossidativo e quindi produce ugualmente alcool. Si chiama effetto Crabtree. Ecco spiegato perché la propagazione batch è una sorta di fermentazione.

Per fortuna (o meglio per natura), il lievito si è evoluto per sopravvivere anche non disponendo di molto glucosio ed in modo continuo (pensateci, la frutta sugli alberi non è sempre matura…). Quando una cellula di lievito dispone di poco glucosio (circa sotto 0.1 grammi/litro) e ossigeno, riesce a replicarsi, seppure lentamente, in modo continuo e non fermentativo, quindi producendo pochissimo alcool. Si chiama effetto Pasteur. Il metabolismo aerobico si presta quindi a produrre biomassa continuamente, dando al lievito poco glucosio, e tenendolo in basse concentrazioni. Per farlo, del substrato a base di mosto viene iniettato continuamente, per rimpiazzare il nutrimento consumato. E’ per questo che la tecnica è chiamata fed-batch. Fantastico, mi butto sul fed-batch! Beh, purtroppo c’è un limite. Essendo lento, per produrre un target di cellule, il processo può durare molto. Ciò implica che dopo un po’, le prime generazioni di cellule si saranno replicate moltissime volte, e la popolazione di cellule “anziane”, con membrane cellulari assottigliate e danneggiate, aumenta: i bio-guru la chiamano senescenza della popolazione. Non è il top: per avere buone fermentazioni servono lieviti vitali.

Quindi che si fa? Noi, ed altri, abbiamo scelto un mix delle due tecniche. Con il batch otteniamo in poco tempo e tollerando l’arresto della crescita una certa quantità di cellule di lievito, che poi passiamo in fed-batch per raggiungere il target in alcuni giorni, limitando la senescenza.

 

Assemblaggio del propagatore, Mario Quark ed Enrico Govoni di Vecchia Orsa

Ma entriamo nei dettagli. La  propagazione inizia dal ceppo puro (o presunto tale: ho ricevuto da noti produttori, di cui non farò il nome, buste di Brett non scadute parecchio contaminate da batteri). Il ceppo di partenza è una popolazione variabile da 10 a 300 miliardi di cellule, a seconda che si tratti di Brett o Sacc e dei litri da inoculare. La biomassa iniziale viene dapprima propagata con propagazioni a batch, in beute di borosilicato, con due step successivi di 24 ore ognuno. Nello step 1 uno usiamo due beute con 500 ml di substrato ognuna, su agitatore magnetico e temperatura controllata, normalmente sopra i 25 gradi. Nello step 2 usiamo 4 beute, con 2 litri di substrato ognuna. L’approccio a due step ha lo scopo di diluire l’alcool prodotto e far ripartire la propagazione. Il substrato è composto da estratto liquido di malto e nutrienti, e la OG del mosto dipende dalla ricetta di propagazione, in generale varia dai 20 ai 50 grammi/litro di zucchero. Si passa quindi al fed-batch: la replicazione nel propagatore fed-batch da 50 litri, di nostra realizzazione, dura dai 3 ai 5 giorni. All’inizio, il lievito viene posto nel bioreattore e diluito con acqua e nutrienti. La concentrazione di glucosio nel tempo si abbassa, quindi ogni ora viene iniettata una quantità di substrato, che rimpiazza il mosto consumato. Ricircoli continui e immissione di ossigeno puro tengono la biomassa in sospensione e favoriscono la fuoriuscita di CO2 ed alcool.

Per orchestrare la propagazione ci serviamo di fogli di calcolo, che per ogni stadio del processo e per ogni lievito stimano la dinamica del processo e calcolano le quantità di gas e liquidi da utilizzare.

Rimandiamo i più curiosi alla prossima puntata.
Nel mentre, abbandonatevi alle nostre bevute selvagge!

 

 

Propagarsi il lievito. Ovvero come complicarsi la vita

“Facciamo delle Brett Ale!”
“Magico! E il brett?”
“Facciamocelo Fare!”
“Facciamocelo noi!”

La propagazione del lievito è un tema sicuramente caratterizzante per Ca’ del Brado, da un lato perché saper gestire il lievito è secondo noi parte integrante del lavoro di cantinieri di birra, dall’altro perché apre delle possibilità di sperimentazione altrimenti precluse a chi è immune al fascino del lievito liquido.

 

Inoculo di Brettanomyces Lambicus in foudre

Noi di Ca’ del Brado abbiamo scelto un sentiero che fa spola tra la tecnica e la deriva naturale che il tempo lascia a lieviti e batteri. La chiave del nostro lavoro è avviare nella giusta direzione il lavoro che la natura sa fare benissimo da sempre, cioè fermentare frutta e cereali.

 

Inizio delle propagazioni. Alcune beute ed alcune fiale,

Molte delle nostre birre (le Piè Veloce ed Invernomuto ad esempio) vengono fermentate inizialmente (fermentazione primaria) con una parte di lievito recuperato dal fondo delle botti ed una parte di lievito fresco, propagato da ceppo puro. Questa scelta ha lo scopo di mantenere una consistenza nelle produzioni nel tempo, ed insieme lasciare il nostro marchio nei gusti e negli aromi delle nostre etichette. La propagazione del lievito avviene usando una tecnica mista di propagazioni dette a batch e a fed-batch, che spieghiamo molto bene in questo articolo. In ogni caso sono due tecniche diverse, ma entrambe servono a far replicare i nostri funghi preferiti (i lieviti) in modo possibilmente efficace, cioè raggiungendo il target di cellule necessario, efficiente, cioè usando attrezzi e materie prime non troppo dispendiose, controllato, pulito e replicabile.

 

Inoculo di Brettanomyces Bruxellensis dal propagatore

Mi spiego meglio. Il pitching rate di cui necessitiamo è variabile, proprio perché il lievito recuperato da fermentazioni precedenti fa una parte del lavoro, e si aggira su una frazione del classico milione di cellule per millilitro per grado Plato (mln cells/ml/°P). La propagazione del levito puro viene condotta dapprima in beute di borosilicato, per poi finire grazie ad un prototipo di propagatore da 50 litri, di nostra realizzazione (articolo ad hoc anche per lui… promesso). Uno degli scopi del propagatore è infatti poter scegliere quali ceppi di lievito adottare, anche quelli commercializzati in volumi molto piccoli (pensate alle fiale o alle buste da 35/40 ml), e replicare quindi le cellule fino al numero necessario. Ciò fra l’altro apre la strada ad innumerevoli sperimentazioni di ceppi esotici. In realtà anche gli amichevoli saccaromiceti passano per per grinfie del propagatore… L’altro scopo della propagazione condotta in autonomia è evitare di rifornirci di grosse quantità di lievito liquido, che possa aver subito trasporti lunghi o stressanti.

L’efficienza nella propagazione deriva dal poter usare dei volumi di starter piccoli e nel poter lavorare (grazie al fed-batch) con un propagatore anch’esso relativamente piccolo. Per verificare che tutto stia procedendo correttamente ci siamo dovuti armare sin dall’inizio di microscopio e camera di conta, oltre che di pazienza, per campionare più o meno spesso il nostro mosto in propagazione. La conta cellulare ci dà una stima del numero di cellule che siamo riusciti ad ottenere man mano, ed una idea della sua vitalità, quindi “prontezza a fermentare”.

Infine, si parlava di un processo pulito e replicabile? Già, perché se quel lievito propagato, che a Ca’ del Brado lavora in squadra con il lievito recuperato, risulta contaminato e sempre diverso, poteva andar bene prima dell’invenzione della ruota (come disse qualcuno). Nella nostra cantina è all’affinamento, non alla fermentazione, che lasciamo prendere la propria strada, lasciando spazio all’affascinante variabilità che si manifesta sempre, governata da ciò che permea il legno, e libera da vincoli e tecnicismi. Il tempo e gli assaggi ci diranno quando la birra è pronta.

E già, yeast is the new hop…

 

 

Ritorno al futuro. Le Brett Ales

Il lievito è il luppolo del futuro.

I tempi dell’amaro ad ogni costo, in tutti gli stili birrari, stanno tramontando. L’attenzione dei birrofili (ma anche dell’industria, vedi il caso H41)  si sta spostando sempre più sull’ingrediente meno visibile ma forse più caratterizzante della birra, il lievito.

Si dice che non è il birraio a fare la birra, ma il lievito, una sacrosanta verità. Da homebrewer non apprezzavo quanto complesso e fondamentale fosse il quarto ingrediente nel processo brassicolo. Maneggiare il lievito era qualcosa di molto vicino ad un rito religioso più che una pratica produttiva: si trovano online raccomandazioni non ben spiegate su come idratarlo, conservarlo, inocularlo. Tuttavia, quando la passione per la birra ha incontrato il mondo delle birre selvagge, sono esplose nella mia testa innumerevoli domande sul mondo del “birraio monocellulare”.

Il lievito è un organismo unicellulare che appartiene al regno dei funghi. E’ l’ingrediente che trasforma gli zuccheri presenti nel mosto di birra in alcool (etanolo) e gas (anidride carbonica). Le due principali specie di lieviti utilizzate nel processo di produzione della birra sono il Saccharomyces cerevisiae ed il Saccharomyces pastorianus. Su queste sole due specie si potrebbero scrivere delle bibbie, ma a noi di Ca’ del Brado è piaciuto camminare sui confini e studiare e sperimentare anche altre specie. Ad esempio i brettanomiceti.

 

Fiale con diverse specie di Brett
Fiale con diverse specie di Brett

Il Brettanomyces è una specie di lievito (non è un batterio come molti credono!) considerata per secoli un lievito dannoso nella produzione del vino, mentre viene temuto e rispettato nel mondo delle fermentazioni di birra, in particolare in quelle spontanee o miste. Il Brett (così chiamato dagli amici) è un lievito selvaggio che si trova praticamente ovunque, dall’aria, agli oggetti che maneggiamo, sulle pareti delle stanze, per cui è sempre a contatto con la birra. Ma quindi come riesco a fare una Blanche pulita? Di solito i lieviti “clean”, selezionati nei secoli per fare da bulldozer fermentativi, prendono il sopravvento in poche ore e il Brett resta buono. Tuttavia quando viene messo in condizioni di esprimersi, si apre un mondo. Il Brett può fungere sia da lievito principale (fermentazione primaria) che da lievito di affinamento (fermentazione secondaria). Di gran lunga più usato nelle secondarie, qui sprigiona il suo poverbiale funky o “sentore Orval” (dal nome della birra più famosa che lo impiega), qualcosa di vicino al cuoio, stallatico, animale selvatico, sella di cavallo. Sentori grandiosi!

Il Brett può essere però utilizzato come lievito principale, dando origine allo stile Brett Beer, o 100% Brettanomyces. Le Brett Beer sono diventate uno stile riconosciuto dal 2015, quando il BJCP le ha introdotte nella categoria American Wild Ale. Possono in realtà essere una variante di tutte quelle ale dove è sensato dare risalto agli esteri fruttati e a sentori rustici prodotti, di solito pale ale o american pale ale. Si tratta di birre ancora poco diffuse, uno dei motivi è che è difficile gestirlo, dato che la specie è ancora poco studiata nella biologia, o meglio è indagata per trovare i modi più efficaci di distruggerla quando attacca il vino. E lo fa spesso! Infatti è facilissimo che esso infesti un birrificio “clean” e ne prenda possesso, se non si prendono precise precauzioni. Quando lo si cerca invece, si tratta di una specie molto versatile poiché, anche se conduce fermentazioni un po’ pigre, a mio avviso è capace di sviluppare una complessità di esteri fruttati che nessun altro lievito riesce a produrre. Come per i Saccharomyces, anche i Brett si dividono in diversi ceppi, che selezionati o combinati a dovere regalano alla birra un ventaglio di odori e sapori molto variegato.

 

conta del lievito
Conta cellule lievito in lab

La difficoltà nel brassare una Brett Ale si trova principalmente nel domare il carattere un po’ anarchico e un po’ pigro di questo lievito, nel gestire la scarsità di gusto-tatto (mouthfeel) causata dalla non produzione del Brett di glicerolo, e soprattutto dall’elevato pitching rate utile (ma non imprescindibile) che garantisce alla fermentazione di avere luogo in maniera ottimale. In commercio, il Brett si trova in piccole fiale, da qui la necessità di replicare (propagare) l’amico Brett in autonomia. Questa esigenza ha spinto noi di Ca’ del Brado a progettare e costruire un propagatore per questo scopo. Ma di questo parleremo in un’altra occasione…

Ultima osservazione d’obbligo: il brettanomiceto è comunemente citato nel mondo delle fermentazioni spontanee o miste, quindi associato al mondo dell’acido. Le Brett Ale però non sono birre acide. Se la birra non viene eccessivamente ossigenata durante l’affinamento, l’acidità resterà controllata. La Brett non è neanche necessariamente una birra con sentori animaleschi, anche se l’evoluzione in bottiglia molto probabilmente ne produrrà, col passare del tempo. Noi di Ca’ del Brado abbiamo deciso di scostarci un po’ dalle ricette “100% Brett” utilizzate generalmente dai birrai e dagli homebrewer americani, che spingono molto sulla luppolatura e sul dryhopping, nascondendo il carattere del brett (di fatto molte ricette prevedono l’utilizzo del “Brett Trois”, un finto Brett.).

 

inoculo barrique
Inoculo in barrique

Le nostre ricette cercano di esaltare al massimo la tipicità di questi lieviti, utilizzando un’alta percentuale di frumento e di segale e coadiuvando la fermentazione con batteri lattici, presenti nelle grandi botti di rovere nelle quali queste birre maturano. Birra molto versatile, una Brett va compresa: se inizialmente può possedere una freschezza inarrivabile per altri stili, con il tempo e con il lavorare del lievito, lento ma inesorabile, i sentori si trasformano da fruttati tropicali, di ananas, mango, pesca, a speziature più rustiche e secche, ma altrettanto interessanti. Per capire queste birre bisogna provarle fresche, magari acquistandone 3 bottiglie, e bevendole ogni due mesi, per apprezzare l’evoluzione che una stessa identica creazione avrà in breve tempo. Per questo vi invitiamo a provare la Piè Veloce Lambicus e la Piè Veloce Brux e a comunicarci cosa ne pensate.
Quando la Poretti uscirà con la 10 Lieviti ricordatevi che vi avevamo avvisati!