“Nel futuro potere del legno”.
Un cantautore a cui sono legato, il cui nome d’arte in passato era Moltheni, chiamò così un suo brano.
Da brano a Brado basta poco, una lettera appena.
“Le orme che lasciavi con i piedi umidi sul pavimento, le han lavate via. Le ragioni collegate ai giorni e al tempo, trovano la condizione OK”
Era il 2006 quando uscì l’album che conteneva questa traccia, lo stesso anno in cui partii per il Belgio in camper, con una compagine di amici, a inzupparmi di bevute e fascinazioni nei confronti di un artigianato brassicolo con tradizioni antiche.
Uno di quegli amici oggi è un birraio, un altro un publican, un terzo il commerciale di un birrificio ed io beh… io ho iniziato questa avventura della cantina brassicola.
Allora non sapevo in cosa mi sarei incamminato, circa 10 anni dopo.
Non lo si sa mai.
A pensarci il tempo ha dentro di sé un grande potere, sfaccettato in diverse opportunità: è un grembo prolifico di sorprese, trasporta verso il futuro, amplifica nostalgie, lenisce i dolori, scrive storie, smantella le precarietà e, soprattutto, dà valore alle buone idee.
Le scienze lo chiamano la quarta dimensione.
Tutto questo suggerisce di trattarlo con rispetto (allo stesso modo di una persona cara, più che come una variabile).
Un rispetto che ha un nome preciso: l’attesa.
Per gli impazienti l’attesa è un germe di noia e nervosismo, per i superficiali è un momento morto. Nella nostra società fretta-dipendente e meditofobica, è spesso additata come spreco.
Credo invece fermamente che, nell’artigianato come nella vita, l’attesa possa essere l’opposto di una stasi passiva, rivelandosi una preziosa occasione per dedicarsi ad avere cura.
Cura di qualcosa, cura di qualcuno.
Il piede smette di battere sul pavimento, respiri profondamente.
Non esiste più un orario per nutrirsi, tranne la fame.
Il sonno si trasforma in una fucina di sogni, in un termometro degli stati d’animo, anziché semplice riposo funzionale alla veglia. Lento diventa una bellissima parola, una durata desiderabile per il piacere dei sensi, una fonetica più morbida di veloce.
Abbiamo costruito una culla per le nostre ambizioni,
abbiamo scelto il legno,
perché respira,
perché è vivo,
perché ha memoria.
Perché la nostra appassionata utopia ha fede, nel futuro potere del legno.
Carissimi bevitori, manigoldi, donzelle e appassionati,
per la nostra cantina brassicola è finalmente giunto il momento di aprire il sipario: Ca’ del Brado è infatti lieta di presentare la prima birra e quale miglior modo di farlo se non assieme ai suoi publican preferiti!
Il prodotto in questione è la nostra Piè Veloce Brux: una Brett Ale con luppolatura delicata di stampo americano, fermentata esclusivamente con Brettanomyces Bruxellensis e affinata per più di due mesi in grande botte di rovere. Trovate maggiori dettagli qui: Piè Veloce Brux
I fusti saranno attaccati in anteprima nella giornata di mercoledì 14 dicembre in tutti i seguenti locali amici (in ordine alfabetico):
Sono davvero poche (soprattutto in Italia) le birre fermentate esclusivamente mediante Bretta fin dalla primaria e non vediamo l’ora di sapere cosa ne pensate. Noi ci lavoriamo da parecchio e ne siamo entusiasti!
Lo staff di Ca’ del Brado (assieme al loro bradipo totemico e ad un esercito di brettanomiceti), girerà tutta la sera per i vari locali, quindi si brinderà assieme con chi sarà in giro, in una grande e diffusa festa del Bretta!
I tempi dell’amaro ad ogni costo, in tutti gli stili birrari, stanno tramontando. L’attenzione dei birrofili (ma anche dell’industria, vedi il caso H41) si sta spostando sempre più sull’ingrediente meno visibile ma forse più caratterizzante della birra, il lievito.
Si dice che non è il birraio a fare la birra, ma il lievito, una sacrosanta verità. Da homebrewer non apprezzavo quanto complesso e fondamentale fosse il quarto ingrediente nel processo brassicolo. Maneggiare il lievito era qualcosa di molto vicino ad un rito religioso più che una pratica produttiva: si trovano online raccomandazioni non ben spiegate su come idratarlo, conservarlo, inocularlo. Tuttavia, quando la passione per la birra ha incontrato il mondo delle birre selvagge, sono esplose nella mia testa innumerevoli domande sul mondo del “birraio monocellulare”.
Il lievito è un organismo unicellulare che appartiene al regno dei funghi. E’ l’ingrediente che trasforma gli zuccheri presenti nel mosto di birra in alcool (etanolo) e gas (anidride carbonica). Le due principali specie di lieviti utilizzate nel processo di produzione della birra sono il Saccharomyces cerevisiae ed il Saccharomyces pastorianus. Su queste sole due specie si potrebbero scrivere delle bibbie, ma a noi di Ca’ del Brado è piaciuto camminare sui confini e studiare e sperimentare anche altre specie. Ad esempio i brettanomiceti.
Il Brettanomyces è una specie di lievito (non è un batterio come molti credono!) considerata per secoli un lievito dannoso nella produzione del vino, mentre viene temuto e rispettato nel mondo delle fermentazioni di birra, in particolare in quelle spontanee o miste. Il Brett (così chiamato dagli amici) è un lievito selvaggio che si trova praticamente ovunque, dall’aria, agli oggetti che maneggiamo, sulle pareti delle stanze, per cui è sempre a contatto con la birra. Ma quindi come riesco a fare una Blanche pulita? Di solito i lieviti “clean”, selezionati nei secoli per fare da bulldozer fermentativi, prendono il sopravvento in poche ore e il Brett resta buono. Tuttavia quando viene messo in condizioni di esprimersi, si apre un mondo. Il Brett può fungere sia da lievito principale (fermentazione primaria) che da lievito di affinamento (fermentazione secondaria). Di gran lunga più usato nelle secondarie, qui sprigiona il suo poverbiale funky o “sentore Orval” (dal nome della birra più famosa che lo impiega), qualcosa di vicino al cuoio, stallatico, animale selvatico, sella di cavallo. Sentori grandiosi!
Il Brett può essere però utilizzato come lievito principale, dando origine allo stile Brett Beer, o 100% Brettanomyces. Le Brett Beer sono diventate uno stile riconosciuto dal 2015, quando il BJCP le ha introdotte nella categoria American Wild Ale. Possono in realtà essere una variante di tutte quelle ale dove è sensato dare risalto agli esteri fruttati e a sentori rustici prodotti, di solito pale ale o american pale ale. Si tratta di birre ancora poco diffuse, uno dei motivi è che è difficile gestirlo, dato che la specie è ancora poco studiata nella biologia, o meglio è indagata per trovare i modi più efficaci di distruggerla quando attacca il vino. E lo fa spesso! Infatti è facilissimo che esso infesti un birrificio “clean” e ne prenda possesso, se non si prendono precise precauzioni. Quando lo si cerca invece, si tratta di una specie molto versatile poiché, anche se conduce fermentazioni un po’ pigre, a mio avviso è capace di sviluppare una complessità di esteri fruttati che nessun altro lievito riesce a produrre. Come per i Saccharomyces, anche i Brett si dividono in diversi ceppi, che selezionati o combinati a dovere regalano alla birra un ventaglio di odori e sapori molto variegato.
La difficoltà nel brassare una Brett Ale si trova principalmente nel domare il carattere un po’ anarchico e un po’ pigro di questo lievito, nel gestire la scarsità di gusto-tatto (mouthfeel) causata dalla non produzione del Brett di glicerolo, e soprattutto dall’elevato pitching rate utile (ma non imprescindibile) che garantisce alla fermentazione di avere luogo in maniera ottimale. In commercio, il Brett si trova in piccole fiale, da qui la necessità di replicare (propagare) l’amico Brett in autonomia. Questa esigenza ha spinto noi di Ca’ del Brado a progettare e costruire un propagatore per questo scopo. Ma di questo parleremo in un’altra occasione…
Ultima osservazione d’obbligo: il brettanomiceto è comunemente citato nel mondo delle fermentazioni spontanee o miste, quindi associato al mondo dell’acido. Le Brett Ale però non sono birre acide. Se la birra non viene eccessivamente ossigenata durante l’affinamento, l’acidità resterà controllata. La Brett non è neanche necessariamente una birra con sentori animaleschi, anche se l’evoluzione in bottiglia molto probabilmente ne produrrà, col passare del tempo. Noi di Ca’ del Brado abbiamo deciso di scostarci un po’ dalle ricette “100% Brett” utilizzate generalmente dai birrai e dagli homebrewer americani, che spingono molto sulla luppolatura e sul dryhopping, nascondendo il carattere del brett (di fatto molte ricette prevedono l’utilizzo del “Brett Trois”, un finto Brett.).
Le nostre ricette cercano di esaltare al massimo la tipicità di questi lieviti, utilizzando un’alta percentuale di frumento e di segale e coadiuvando la fermentazione con batteri lattici, presenti nelle grandi botti di rovere nelle quali queste birre maturano. Birra molto versatile, una Brett va compresa: se inizialmente può possedere una freschezza inarrivabile per altri stili, con il tempo e con il lavorare del lievito, lento ma inesorabile, i sentori si trasformano da fruttati tropicali, di ananas, mango, pesca, a speziature più rustiche e secche, ma altrettanto interessanti. Per capire queste birre bisogna provarle fresche, magari acquistandone 3 bottiglie, e bevendole ogni due mesi, per apprezzare l’evoluzione che una stessa identica creazione avrà in breve tempo. Per questo vi invitiamo a provare la Piè Veloce Lambicus e la Piè Veloce Brux e a comunicarci cosa ne pensate.
Quando la Poretti uscirà con la 10 Lieviti ricordatevi che vi avevamo avvisati!
Ricordo bene la sera in cui, di ritorno da una delle tante serate che organizzavamo come brewLab. Mario era al volante e disse, a me e a Marz, che stava provando a vendere un impianto per conto di un signore di Lanciano. Fu questione di un attimo: l’idea di comprare noi quell’impianto per fare qualcosa di importante insieme divenne appassionata materia di discussione delle settimane successive.
Eravamo già attivi nella divulgazione della cultura birraria in diverse forme e homebrewer nel tempo libero. Mario, per gli amici quarK, è il tecnico, o per meglio dire il ciappinaro (come si dice a Bologna), seguace di Piero Angela e del metodo scientifico. Marz il divulgatore, capace di disquisire di birra come si fa con le questioni di vita o di morte. Ed io, beh io sono quello delle idee impossibili, con sempre nuove cose da provare. Ci rendemmo subito conto che avremmo avuto bisogno di qualcuno che ci portasse con i piedi per terra; che avesse quindi dimestichezza con i numeri, i piani quinquennali e cose di questo tipo: fu così che ingaggiamo Matteo, amico di vecchia data e gestionale nell’anima.
Di quell’impianto di Lanciano alla fine non se ne fece nulla, se non un viaggio in loco dove incontrammo un italo-americano che starebbe benissimo in un film dei fratelli Coen.
La squadra si era comunque formata. Non potevamo più tirarci indietro.
La pulce nell’orecchio della cantina brassicola ce la mise Govo, birraio di Vecchia Orsa e caro amico, una sera in cui confrontandoci ci spiegò quanto fosse miserevole, duro e meraviglioso il mestiere di birraio. “Ragazzi, se potessi la farei io una bottaia. So quanto vi piace il mondo sour, perchè non provate?”. La luce si accese subito. Senza impianto, attrezzare una cantina di fermentazione ed imbottigliamento della birra non dovrebbe essere così difficile, no?
Due anni dopo, con litri di prove buttate nel lavandino, altre bevute con soddisfazione, una miriade di persone incontrate, i viaggi, i lunghi confronti, la guerra con l’agenzia delle dogane, l’aceto di birra, la ricerca dei fondi, lo studio intenso e tante giornate di lavoro passate ad attrezzare la miglior casa possibile per le nostre future birre, posso dire che no, non è stato affatto facile. E sì, ne è valsa totalmente la pena.