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The Wildest Can – Perchè lattine selvagge?

Da alcuni mesi stiamo producendo delle birre nuove e differenti, ci è piaciuto prenderci un momento e guardare il progetto per raccontare con più dettaglio la filosofia Brada di questi tempi.

Dopo molti anni di produzione esclusivamente orientata alle birre sour, abbiamo deciso di arricchire il portfolio con un nuovo progetto: The Wildest Can. Questo nuovo capitolo si inserisce nella nostra filosofia di ricerca e sperimentazione, ma con una prospettiva fresca e più moderna. Il progetto nasce dall’esigenza di unire la facilità e la freschezza di bevuta delle birre craft più moderne con la ricchezza e la complessità delle acide naturali tradizionali, creando così una nuova realtà che guarda avanti, senza dimenticare le radici.

L’evoluzione del nostro birrificio: sempre tradizione, più modernità

Negli anni abbiamo fatto della fermentazione mista e delle acidificazioni naturali il nostro marchio di fabbrica. Inoltre con l’apertura della taproom, nel 2022, e con l’acquisto della sala cotta, avevamo già ampliato la gamma birraria includendo birre non sour, produzioni clean con cui dissetare coloro che si avvicinano al mondo della birra artigianale per la prima volta, con cui coccolare chi frequenta la taproom quotidianamente e anche offrire alle nostre zone limitrofe una birra locale più facile ma riconoscibile, attraverso l’uso di frumento crudo locale ma non solo. 

Infatti le fermentazioni pulite sono nate da una importante ricerca sul lievito (Bunny, qui la storia del progetto di tesi e i succosi dettagli), con The Wildest Can, siamo giunti alla congiunzione dei due mondi: le birre pulite e le sour senza tempo. Abbiamo voluto dare al tempo e alle nostre flore fermentative il compito di produrre birre a 12 corde, più profonde delle sour kettle ma non difficili, complete di note di cantina e con la più grande freschezza che le speziature, che spesso usiamo, possono consentire. 

Per vestire questo progetto abbiamo scelto la lattina, non solo per dare un nuovo packaging al nostro progetto, ma anche per abbracciare un formato moderno e pratico, che possa avvicinare il pubblico a una tipologia di birra ancora considerata di nicchia. Abbiamo investito in una inlattinatrice (passo audace visti i tempi!) perché crediamo che la lattina sia l’elemento per distinguere ancora di più questo progetto dalle nostre birre tradizionali, che da sempre viaggiano in bottiglie champenoise, e segnare un passo verso una proposta più fresca, diretta, e innovativa. La veste è identitaria e da qui il nome The Wildest Can.

Un look più pop e un messaggio per tutti

Abbiamo pensato a grafiche per The Wildest Can più colorate, vivaci, e decisamente più pop rispetto al nostro stile precedente, che non sarà affatto sostituito. Non vogliamo che il bere acido sia una prerogativa di pochi né tantomeno superata, desideriamo renderlo più accessibile invitando chiunque ad avvicinarsi al mondo delle birre wild con curiosità e senza pregiudizi. Vogliamo che ogni lattina racconti non solo la nostra passione, ma anche il nostro desiderio di rendere l’esperienza di un’acidità raffinata e interessante alla portata di tutti.

Sempre tecniche tradizionali e tempo

Nonostante il cambio di formato e di immagine, il cuore di The Wildest Can rimane fedele alle nostre origini. Ogni birra della linea nasce da tecniche di acidificazione tradizionali, lontane dalle fermentazioni rapide in kettle, che non ripudiamo, ma che sinora abbiamo voluto tenere fuori dalla cantina. Le nostre birre sono il risultato di un processo lungo e paziente che di solito dura 6 mesi, che permette ai nostri inoculi mix di lieviti e batteri lattici di fermentare e affinare la birra, producendo bevute complesse ma di grande freschezza, con una profondità di gusto che non è mai difficile da apprezzare.

Le Wildest Can hanno un filo comune, spesso le speziature che utilizziamo, come rosmarino, buccia d’arancia e tante altre botaniche fresche, completano il quadro aggiungendo note aromatiche che arricchiscono la birra senza mai dominarla. 

Colmare il divario

Dopo otto anni di attività, abbiamo sentito il bisogno di colmare il divario tra il mondo un po’ autoreferenziale del bere tecnico e la popolarità che la birra – più di ogni altra creazione liquida artigianale – rappresenta oggi. The Wildest Can è il nostro tentativo di abbattere queste barriere e di avvicinare il pubblico a una birra che non è solo per appassionati, ma per tutti coloro che cercano un’esperienza nuova e autentica.

Con The Wildest Can, abbiamo voluto anche una rivoluzione identitaria. Abbiamo rivisto il nostro logo e lo stile della comunicazione. Non si tratta solo di una nuova linea di birra, ma di un passo audace verso un futuro più inclusivo, che mette in discussione alcune convenzioni a volte snob. È un’evoluzione naturale per il nostro birrificio, che procede con tenacia per cambiare la realtà che ci circonda, sperimentando nuove forme e nuovi modi di pensare alla birra artigianale. Scopri la gamma di birre The Wildest Can qui e sul nostro shop online e inizia a esplorare un mondo di sapori selvaggi, freschi e audaci, senza compromessi.

Stay wild

The wildest can

BRD

Piè Veloce – il nostro viaggio con i brettanomyces

Piè Veloce Brux – la prima nata del progetto 100% Brett

I nostri primi passi nell’avventura Ca’ del Brado iniziano circa sette anni fa con un focus specifico sui brettanomyces (i celebri lieviti selvaggi).

Chi ci conosce dal principio forse si ricorderà che la prima birra uscita dalla bottaia fu Piè Veloce Brux, precisamente a dicembre 2016, mese che da allora è diventato occasione di celebrazione del nostro Anniversario, con anche un progetto brassicolo dedicato ogni anno differente.

Abbiamo quindi voglia di spiegarvi qui come sono nate le idee e la successiva fase sperimentale che ci ha portato a realizzare le nostre Brett Ale: Piè Veloce. 

 

Alcune birre del progetto Piè Veloce

Innanzitutto sfatiamo un falso mito: Brett = acidità… non è così!

Il brettanomyces è infatti portatore di note wildselvagge, “funky” (termine brassicolo che identifica aromi peculiari quali cantina, formaggio, aia, cuoio, carte da gioco, animale, pungenze speziate/fruttate), fresche se vogliamo – ma se non esposto a quantità importanti di ossigeno (che gli farebbero produrre acido acetico ossidando etanolo e zuccheri residui) non è responsabile del raggiungimento di pH particolarmente bassi.

Nelle birre sour che vedono legno (barrel aged), anche se è spesso presente una contaminazione di brettanomyces, non è essa la principale responsabile della caratterizzazione dei diversi tipi di acidità, bensì le flore microbiche, soprattutto di batteri lattici come Pediococchi e Lattobacilli.

Nelle nostre Piè Veloce infatti l’acidità presente è più delicata che in altri progetti, ed è dovuta all’ambiente batterico presente nei tini della bottaia. Quando diciamo 100% Brett infatti intendiamo che è la fermentazione primaria ad essere eseguita dai brettanomyces, ma sappiamo di fare un’approssimazione rispetto all’apporto “spontaneo” successivo dato dal legno.

Su cosa sono i lieviti selvaggi (brettanomyces o Brett), non spenderemo toppe parole in questo articolo, chi di voi vuole curiosare può però trovare info su WIKIPEDIA o FERMENTO BIRRA.

Vale comunque la pena fare una premessa: “birre brettate” è un termine inflazionato e la connotazione a cura dei Brett può avvenire in diversi momenti e modi in birrificazione.

Ci sono casi celebri come l’Orval, dove è inoculato successivamente al Saccharomyces e ha uno sviluppo funky nel tempo (ma appunto non acidità), in quanto il lievito Saccharomyces effettua la fermentazione primaria e il Brett poi lavora in condizioni di stress, avendo a disposizione i soli zuccheri complessi che i saccaromiceti non riescono ad assimilare (e queste note funky saranno tanto più percepibili tanto più faremo invecchiare la bottiglia).

I brettanomyces sono ovviamente presenti anche nelle birre a fermentazione spontanea, patrimonio storico del Belgio, all’interno di un ambiente fermentativo estremamente eterogeneo e con diverse specie di Brett in azione.

Inoltre l’utilizzo di botti di legno – ambiente ideale per i Brettanomyces in termini di attecchimento e proliferazione, se non specificatamente trattate – può essere un importante veicolo di contaminazione: per questo i passaggi in legno possono risultare metodologie ideali per ottenere birre connotate naturalmente dai Brett. 

 

Piè Veloce Lambicus – la nostra “English” Brett Ale

La nostra modalità è ancora diversa: inoculiamo i Brettanomyces per la fermentazione primaria e in modo esclusivo (100% Brett) così da enfatizzare a pieno le caratteristiche del singolo ceppo scelto – in termini di aromatica, sfumature e note funky – e valorizzarne al massimo le capacità di attenuazione (e quindi la possibilità ottenere birre di grande freschezza nonostante un discreto tenore alcolico).

Abbiamo quindi deciso di intraprendere una direzione produttiva specifica, incarnata da uno stile pressoché inesplorato in Italia: le Brett Ale (con invece una scuola abbastanza affermata in USA).
È stata fonte grande soddisfazione averne fatto un’interpretazione personale e che queste birre siano poi diventate una bandiera della nostra Cantina.

Partiamo dal nome che abbiamo scelto: Piè Veloce.
L’epiteto di Achille, eroe celebre per la sua velocità nella corsa, simboleggia che all’interno dei cicli produttivi lenti che caratterizzano Ca’ del Brado, queste sono le nostre birre a più rapida maturazione. Nascono infatti per essere bevute fresche (quando l’esplosività aromatica è all’apice) o possono essere lasciate invecchiare, per scoprirne l’affascinante evoluzione nel tempo.

Ciò che accomuna le varie Piè Veloce è prevalentemente questo:

– utilizzo di segale e frumento in fiocchi nel grist dedicato a questi mosti (per dare rusticità e fornire amidi e destrine al lavoro dei lieviti selvaggi)

inoculo di brettanomyces fresco del ceppo selezionato, propagato nel nostro laboratorio del lievito

fermentazione esclusiva effettuata mediante brettanomyces fin dalla primaria (oltre alle contaminazione della flora microbica dei passaggi in legno)

affinamento prevalentemente in botti grandi (foeder)

tempi di maturazione brevi (dai 4 ai 6 mesi) 

 

Inoculo di Brettanomyces in foeder

All’interno della famiglia Piè Veloce nascono due birre differenti: Piè Veloce Brux e Piè Veloce Lambicus.

È importante sottolineare come questi due prodotti non siano distinti unicamente dalla variante di Brett utilizzato – in un caso Bruxellensis e nell’altro Lambicus – ma siano a tutti gli effetti birre differenti.

Per addentrarci in questo vale la pena fare un passo indietro: durante la fase sperimentale precedente all’apertura della Cantina abbiamo dato in pasto un mosto omogeneo a diversi ceppi di brettanomyces, per verificarne empiricamente gli sviluppi e familiarizzare con questi lieviti selvaggi

 

Propagazione del ceppo di Brettanomyces nel laboratorio del lievito Brado

Facendolo abbiamo preso atto di come nei vai lotti si potessero riscontrare differenze sensibili nei profili aromatico gustativi e ci siamo innamorati in particolare di due di essi: Bruxellensis e Lambicus.

Sebbene Bruxellensis e Lambicus siano stati recentemente riclassificati biologicamente come facenti parte dello stesso ceppo, i lieviti prodotti con questi nomi presentano comunque differenze peculiari e distintive.

Se utilizzati fin dalla primaria, per noi richiamavano queste suggestioni:

Bruxellensis: pesca acerba, uva bianca, agrumi, reminiscenze tropicali e note funky di formaggio e cantina
Lambicus: albicocca matura, una profondità polverosa, note funky di animale e cuoio

Partendo da qui abbiamo quindi lavorato a ritroso, realizzando ricette di mosti differenti, atti a valorizzare il successivo lavoro del lievito: una direzione più “americana” per il Bruxellensis (malto base pils e luppolatura Amarillo) e una più “inglese” per il Lambicus (malto base pale e luppolatura Styrian Golding).

Vista l’attitudine moderna di queste birre abbiamo anche pensato di fare di ognuna una versione con dry-hopping, per evidenziare alcune note della matrice aromatica:
Piè Veloce Brux Cascade: con del luppolo classico americano (Cascade) ad enfatizzare le componenti agrumate
Piè Veloce Lambicus Golding: attraverso lo Styrian Golding si sottolineano le note terrose ed erbacee già percepibili nella bevuta

La luppolatura a freddo è comunque delicata (circa 3 gr/lt) per non snaturare il lavoro del lievito e viene effettuata in acciaio al termine dell’affinamento in legno

 

Dry-hopping di luppolo Styrian Golding sulla Piè Veloce Lambicus

Qui trovate le pagine dedicate alle varie birre, in cui potete approfondire ulteriormente i dettagli produttivi e note degustative:
Piè Veloce Brux
Piè Veloce Brux Cascade
Piè Veloce Naga Fatalii
Piè Veloce Lambicus
Piè Veloce Lambicus Golding 

 

Prime bozze del progetto grafico Piè Veloce
Prime bozze del progetto grafico Piè Veloce

Per concludere un piccolo cenno sull’immagine presente in etichetta, che gioca sul paradosso di Zenone reinterpretato con il nostro caro bradipo totemico che gareggia con Achille, al posto della tartaruga.

Tra Piè Veloce Brux e Piè Veloce Lambicus (versioni dry-hopping comprese), c’è un piccolo dettaglio illustrativo differente, i più curiosi di voi che hanno una bottiglia a casa potranno giocare a find the difference.
E se non avete una bottiglia a casa, mi sa che dovrete rimediare.

“Tu conosci l’eccessiva veemenza della gioventù, com’è rapida a prender fuoco, quanto manca di raziocinio” – Omero.

“Sbaglia sia chi fa fretta all’ospite che non vuol partire, sia chi lo trattiene se ha fretta” – Omero.

Yeast is the New Hops!

BRD