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Tesi di laurea in birrificio, Episodio I

Mario e Mattia preparano gli strumenti per tamponare la botte

Pochi giorni fa abbiamo concluso i lavori su un progetto di grande interesse, sia per i risultati pratici che per la strada che ha aperto a collaborazioni future, che speriamo possano accrescere le nostre conoscenze sulla birra. Il progetto è una tesi di laurea sulla sanificazione delle botti e sul monitoraggio del lievito. Ma andiamo per ordine.

Mattia si sta per laureare all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Studia al Dipartimento di Scienze della Vita – Agraria. Ci siamo conosciuti perché Mattia è un (bravo) homebrewer del territorio e abbiamo presto colto l’occasione per lavorare insieme, nonostante le difficoltà causate dl Covid-19. Ca’ del Brado ha tanti progetti nel cassetto, ne abbiamo tirato fuori uno: abbiamo subito contattato il Prof. Pulvirenti del Corso di Controllo e Sicurezza degli Alimenti, che ha prontamente risposto alla nostra chiamata. Siamo partiti immediatamente.

Sanificare nel mondo sour: sì, ma quanto?

Abbiamo voluto fare ricerca sui metodi di sanificazione delle botti. Nel tempo infatti abbiamo adottato in cantina varie procedure per questo scopo. Il nostro obiettivo non è mai stato sterilizzare le botti, sarebbe sacrilego e controproducente, oltre che estremamente difficile. Piuttosto cerchiamo di mantenere entro certi limiti la carica microbica di lieviti e batteri e (fondamentale!) lo facciamo solo per quelle birre che vogliamo indirizzare verso mondi gustativi un po’ più selezionati, come il progetto Piè Veloce, dove, come sempre ricordiamo, inoculiamo Brettanomyces fresco unito ad una piccola base recuperata. Controllo e stato brado, compenetrati indissolubilmente è la nostra filosofia.

Sanificare come?

Sinora abbiamo pulito le botti con varie tecniche, a seconda della birra da introdurvi e dello stato che di volta in volta vi troviamo. Per tonneau e barrique usiamo fare ad esempio risciacqui, altre volte acqua a pressione, altre ancora cicli di pulizia a caldo (acqua a 90°C). I foudre invece li puliamo entrandovi dentro, con azione sia meccanica (spazzole leggermente abrasive) e getto d’acqua, a volte calda. Non usiamo mai prodotti di sintesi liquidi per il lavaggio, più per scelta filosofica che per reali controindicazioni.

L’ozonizzazione è una tecnica di sanificazione già sdoganata nel mondo del vino, dove se escludiamo le produzioni dei vini naturali, si cerca di eliminare qualsiasi contaminazione negli affinamenti in legno. L’ozono è infatti ossigeno “arricchito”, cioè O3 invece che O2, è un gas estremamente ossidante (sanifica molto più del cloro) e distrugge quindi le strutture biologiche della materia organica con cui viene a contatto (le pareti cellulari dei lieviti ad esempio). Poi degenera e si trasforma in ossigeno, quindi non lascia residui, non va risciacquato ed è economico. Va sì gestito con cautela (evitando inalazione e qualsiasi contatto con il corpo) ma è decisamente valido!

Usandolo nelle botti, è la superficie interna del legno ad essere sanificata, non il volume interno del legno che compone le doghe. Questo vuol dire che sotto la superficie del legno è altamente probabile che i microrganismi sopravvivano al trattamento e che possano quindi entrare a contatto con il mosto di birra immesso successivamente, contaminandolo. Questa eventualità è accettata dal nostro birrificio perché contribuisce alla complessità della fermentazione della bevuta.

Dove trovo l’ozono? Come lo uso?

Setup prima del trattamento

Tuttavia l’ozono va prodotto sul momento, non è possibile stoccarlo, perché si degrada velocemente in ossigeno semplice, stabile. Si devono usare quindi delle macchine ozonizzanti, che fino a poco tempo fa erano difficili da trovare, molto grandi e molto costose. Con l’avvento di nuovi produttori asiatici e dei canali di vendita online globali, ora si trovano macchine da ozono piccole ed economiche. Ne parlò anche Nicola Coppe qualche tempo fa. Queste macchine purtroppo non producono affatto l’ozono che dichiarano (abbiamo condotto ricerche interpellando enti di certificazione) ma decisamente meno. Ma ciò non è un problema: ciò che interessa a noi di Ca’ del Brado è conoscere la giusta tempistica di esposizione, usando la nostra macchina, i nostri tubi, le nostre geometrie delle botti e la nostra flora microbica. Quindi solo una sperimentazione con analisi può dare risposte con cui fissare una procedura. E qui entra in gioco la tesi.

Con Mattia infatti abbiamo costruito con la stampa 3D un supporto per tubo in cloruro di polivinile clorinato (CPVC), materiale inerte nei confronti dell’ozono, per poter collegare un tubo in silicone di grossa sezione alla macchina dell’ozono da infilare nella botte. L’ozono viene spinto nella botte dalla ventola della macchina stessa. Poi in ambiente sicuro e ventilato abbiamo eseguito differenti test di ozonizzazione, attivando con diverse tempistiche di esposizione la macchina e verificando l’esito dell’operazione con tamponi e piastre di coltura, campionando le pareti della botte ad intervalli regolari. L’obiettivo è stato quindi calibrare l’ozonizzazione corretta delle botti per ridurre la carica batterica al livello desiderato, senza abbatterla completamente. Volete altri dettagli? Leggete ancora.

Piastra di controllo eseguita prima del trattamento di una botte vuota da alcune settimane

Per eseguire le prove abbiamo usato l’ozonizzatore MV Power Concise Home da 5000 mg/h. Per tamponare le doghe abbiamo usato un’asta, infilata dal cocchiume. Per ogni prelievo abbiamo sanificato l’asta con acido peracetico, applicato delle garze sterili monouso in cima. Dopo il tamponamento abbiamo trasferito e diffuso il campione organico su piastre 3M PetriFilm, bagnandolo con sodio cloruro sterile e siringhe monouso, il tutto lavorando vicini a un becco Bunsen. Abbiamo incubato le piastre in una camera riscaldata a 25°C. Abbiamo eseguito due sessioni di lavoro su due botti diverse.

I risultati

Per dare una idea dell’efficacia dell’ozono, va considerato che i lieviti sono molto sensibili all’ozono, i batteri sono leggermente più resistenti. Le muffe sono ancora più difficili da inattivare, specie le loro spore:

Batteri (E. Coli,
Mycobacterium, Fecal
Streptococcus)
sono inattivati a 0,23 ppm – 2,2 ppm per meno di 20 minuti
Muffe (Aspergillus
Niger, vari ceppi di
Penicillum,
Cladosporium)
sono inattivati a 2 ppm per 60 minuti
Funghi (Candida
Parapsilosis, Candida
Tropicalis)
sono inattivati a 0,02 ppm – 0,26 ppm per meno di 2 minuti
(Fonti: Edelstein et al.,1982; Joret et al.,1982; Farooq and Akhlaque, 1983; Harakeh and Butle,1986; Kawamuram et al. 1986)

Analizzando i tamponi, si vede che dopo poco più di due ore di ozono, lieviti e batteri sono inattivi. Restano attive le muffe, che le piastre amplificano, visto che proliferano anche se sono presenti in piccolissime quantità sul legno. Le muffe non hanno un ruolo nella nostra cantina. Non avendo avuto problemi di muffa nelle botti, il progetto ci ha quindi fornito i dati per poter usare efficacemente l’ozono per controllare lieviti e batteri.

La collaborazione con l’Università, che cercavamo di ingaggiare da un po’, è ufficialmente partita. E’ un rapporto che ci sentiamo di consigliare anche ai nostri colleghi birrai artigiani. I pregiudizi sono da mettere da parte: è una collaborazione che non è a esclusivo appannaggio dell’industria. La difficoltà è trovare l’interlocutore giusto. Noi abbiamo conosciuto professori interessati e appassionati, per cui come noi la vera motivazione per lavorare sono la passione e la conoscenza. A breve infatti vi racconteremo di un altro progetto in partenza.

Non sappiamo ancora in quali occasioni ricorreremo all’ozono. E’ un’arma a nostra disposizione, che si aggiunge alle altre che già usiamo per tenere in buona salute la cantina e le botti, prima di immettervi il mosto o la birra. Cioè per far sì che il prodotto che cullano sia sempre in grado di esprimere, con i sui tempi, la sua potenza.

Ode al lento!