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Firmatari di un articolo scientifico

Quest’anno si è tenuta a Parma la 7° Conferenza Internazionale sulla Biodiversità Microbica. Il tema di questa edizione era “Agrifood microbiota as a tool for a sustainable future”. Suona decisamente interessante.

Perché ne parliamo?

La tesi e l’articolo

Lo scorso anno abbiamo ospitato una tesi dell’Università di Modena e Reggio Emilia (lo abbiamo già raccontato qui). Abbiamo lavorato con Jennifer e la Prof.ssa Solieri sui microorganismi che fermentano e affinano le nostre birre per caratterizzarli dal punto di vista tassonomico e tecnologico. Da questa ricerca è venuto fuori il nostro B.U.N.N.Y., il lievito “di casa”. Un grande risultato, non scontato, che è alla base della nostra recente linea di birre non sour: Tevla, Sevna e da poco Futa.

Bene, da questo lavoro è stato pubblicato un articolo scientifico, un paper dal titolo “Sour beer as bioreservoir of novel craft ale yeast cultures”. L’articolo (che trovate qui) è uscito sulla rivista Microorganisms, nella sezione Food Microbiology. Si tratta di una rivista scientifica mensile dell’MDPI ad accesso libero, con articoli verificati con peer-review. La tesi è parte di un filone di ricerca lungimirante, quello di trovare, classificare e stoccare nuove specie di microrganismi, utili non solo al mondo della birra, costruendo una biobanca di ceppi.

Per arricchire una biobanca escludendo tecniche OGM, le strade possibili sono 3:

  • ibridare lieviti esistenti, per crearne di nuovi, con caratteristiche ereditate dai “genitori”
  • crearne di nuovi con tecniche sì genomiche ma non OGM, tipo CRISPR, ZFN e TALEN (qui si aprirebbe un capitolo interessantissimo, ma evitiamo 🙂)
  • trovare ceppi già esistenti ma sconosciuti, scandagliando in lungo e in largo le loro tane naturali

Quella che abbiamo percorso con la tesi è stata proprio quest’ultima.

In effetti, la ricerca di nuove colture di lievito è molto efficace se svolta in ambienti “selvaggi”. Se le birre sour conferiscono attributi sensoriali unici al prodotto finale è proprio grazie alla grande varietà biologica che ospitano i tini e le botti delle nostre cantine. 

Ma perchè questo interesse scientifico?

Abbiamo già trattato i risultati pratici della tesi e di quale lievito di casa abbiamo poi scelto. Peculiare ad esempio il fatto che i nostri ceppi di S. cerevisiae producono composti organici volatili (VOC) dopo la fermentazione con una bassa quantità di 4-vinil guaiacolo (meno dell’0,4% del totale) e che al contrario è stata riscontrata presenza significativa di alcol feniletile, che contribuisce a un aroma fruttato. Quindi esteri aromatici desiderabili.

Trattando invece l’aspetto “dell’innovazione” sono stati identificati ben tre presunti ibridi di Saccharomyces Cerevisiae e Uvarum. Questi ceppi selvatici di S. cerevisiae hanno sporulato, generato prole monospore vitali e possiedono anche il gene STA1 (normalmente associato all’attività diastatica).

Tra gli altri ibridi poi Saccharomyces Cerevisiae e S. eubayanus e Saccharomyces cerevisiae e S. kudriavzevii sono frequentemente riscontrati nella birra artigianale. Molte birre in stile trappista del Belgio sono prodotte con ibridi di cerevisiae/kudriavzevii. Ciò potrebbe essere una conseguenza delle temperature invernali che favoriscono lieviti più criotolleranti.

Tra le curiosità maggiori si è scoperto che il ceppo di Pichia membranifaciens (molto presente nelle nostre birre) ha mostrato capacità di assimilare maltosio, nonostante la specie sia descritta come incapace di assimilare questo zucchero! La Pichia è spesso trovata nelle birre lambic e gueuze e nel vino, dove l’invecchiamento avviene in botti di legno. La capacità di formare un biofilm poi contribuisce alla lunga persistenza di questa specie sulla superficie di legno. E’ stato descritto fra l’altro che la Pichia potrebbe avere un ruolo nella biotrasformazione dei terpeni del luppolo (incluso il geraniolo).

I firmatari

Queste ed altre scoperte curiose sono state riportate nell’articolo, pubblicato da due importanti poli italiani: il Department of Life Sciences, University of Modena and Reggio Emilia e il National Biodiversity Future Center di Palermo. I firmatari sono: Chiara Nasuti, Jennifer Ruffini, Laura Sola, Mario Di Bacco, Stefano Raimondi, Francesco Candeliere, Lisa Solieri.

Da artigiani con un background ingegneristico (almeno il sottoscritto), siamo stati davvero molto orgogliosi di accettare la collaborazione, contribuire attivamente e vedere uno dei nostri nomi tra i firmatari di un articolo scientifico su una testata internazionale. Un lavoro che abbiamo stimolato, aiutato e compreso. Non ci era ancora mai capitato ed è qualcosa che aggiunge un altro tassello nella storia di Ca’ del Brado.

E sì che Yeast is the new hops!