L’acquisto dell’evento in prevendita (link sopra) garantisce l’accesso al festival e comprende calice serigrafato, braccialetto evento e 15 € (o 30€ per il doppio ingresso) in gettoni (per assaggi cibo, birra e altro).
Una volta terminati gli accessi disponibili – acquistabili anche in sede in giorno dell’evento fino ad esaurimento – non ci sarà più possibile far accedere ospiti.
COME ARRIVARE E CONSIGLI PRATICI
Il festival si terrà in taproom e in cortile, consultate la pagina dedicata su come arrivare.
Vista però l’affluenza inconsueta diamo alcune indicazioni.
DOVE PARCHEGGIARE
La taproom dispone di alcuni parcheggi ma sono limitati. Parcheggi limitrofi qui:
Quest’anno si è tenuta a Parma la 7° Conferenza Internazionale sulla Biodiversità Microbica. Il tema di questa edizione era “Agrifood microbiota as a tool for a sustainable future”. Suona decisamente interessante.
Perché ne parliamo?
La tesi e l’articolo
Lo scorso anno abbiamo ospitato una tesi dell’Università di Modena e Reggio Emilia (lo abbiamo già raccontato qui). Abbiamo lavorato con Jennifer e la Prof.ssa Solieri sui microorganismi che fermentano e affinano le nostre birre per caratterizzarli dal punto di vista tassonomico e tecnologico. Da questa ricerca è venuto fuori il nostro B.U.N.N.Y., il lievito “di casa”. Un grande risultato, non scontato, che è alla base della nostra recente linea di birre non sour: Tevla, Sevna e da poco Futa.
Bene, da questo lavoro è stato pubblicato un articolo scientifico, un paper dal titolo “Sour beer as bioreservoir of novel craft ale yeast cultures”. L’articolo (che trovate qui) è uscito sulla rivista Microorganisms,nella sezione Food Microbiology. Si tratta di una rivista scientifica mensile dell’MDPI ad accesso libero, con articoli verificati con peer-review. La tesi è parte di un filone di ricerca lungimirante, quello di trovare, classificare e stoccare nuove specie di microrganismi, utili non solo al mondo della birra, costruendo una biobanca di ceppi.
Per arricchire una biobanca escludendo tecniche OGM, le strade possibili sono 3:
ibridare lieviti esistenti, per crearne di nuovi, con caratteristiche ereditate dai “genitori”
crearne di nuovi con tecniche sì genomiche ma non OGM, tipo CRISPR, ZFN e TALEN (qui si aprirebbe un capitolo interessantissimo, ma evitiamo 🙂)
trovare ceppi già esistenti ma sconosciuti, scandagliando in lungo e in largo le loro tane naturali
Quella che abbiamo percorso con la tesi è stata proprio quest’ultima.
In effetti, la ricerca di nuove colture di lievito è molto efficace se svolta in ambienti “selvaggi”. Se le birre sour conferiscono attributi sensoriali unici al prodotto finale è proprio grazie alla grande varietà biologica che ospitano i tini e le botti delle nostre cantine.
Ma perchè questo interesse scientifico?
Abbiamo già trattato i risultati pratici della tesi e di quale lievito di casa abbiamo poi scelto. Peculiare ad esempio il fatto che i nostri ceppi di S. cerevisiae producono composti organici volatili (VOC) dopo la fermentazione con una bassa quantità di 4-vinil guaiacolo (meno dell’0,4% del totale) e che al contrario è stata riscontrata presenza significativa di alcol feniletile, che contribuisce a un aroma fruttato. Quindi esteri aromatici desiderabili.
Trattando invece l’aspetto “dell’innovazione” sono stati identificati ben tre presunti ibridi di Saccharomyces Cerevisiae e Uvarum. Questi ceppi selvatici di S. cerevisiae hanno sporulato, generato prole monospore vitali e possiedono anche il gene STA1 (normalmente associato all’attività diastatica).
Tra gli altri ibridi poi Saccharomyces Cerevisiae e S. eubayanus e Saccharomyces cerevisiae e S. kudriavzevii sono frequentemente riscontrati nella birra artigianale. Molte birre in stile trappista del Belgio sono prodotte con ibridi di cerevisiae/kudriavzevii. Ciò potrebbe essere una conseguenza delle temperature invernali che favoriscono lieviti più criotolleranti.
Tra le curiosità maggiori si è scoperto che il ceppo di Pichia membranifaciens (molto presente nelle nostre birre) ha mostrato capacità di assimilare maltosio, nonostante la specie sia descritta come incapace di assimilare questo zucchero! La Pichia è spesso trovata nelle birre lambic e gueuze e nel vino, dove l’invecchiamento avviene in botti di legno. La capacità di formare un biofilm poi contribuisce alla lunga persistenza di questa specie sulla superficie di legno. E’ stato descritto fra l’altro che la Pichia potrebbe avere un ruolo nella biotrasformazione dei terpeni del luppolo (incluso il geraniolo).
I firmatari
Queste ed altre scoperte curiose sono state riportate nell’articolo, pubblicato da due importanti poli italiani: il Department of Life Sciences, University of Modena and Reggio Emilia e il National Biodiversity Future Center di Palermo. I firmatari sono: Chiara Nasuti, Jennifer Ruffini, Laura Sola, Mario Di Bacco, Stefano Raimondi, Francesco Candeliere, Lisa Solieri.
Da artigiani con un background ingegneristico (almeno il sottoscritto), siamo stati davvero molto orgogliosi di accettare la collaborazione, contribuire attivamente e vedere uno dei nostri nomi tra i firmatari di un articolo scientifico su una testata internazionale. Un lavoro che abbiamo stimolato, aiutato e compreso. Non ci era ancora mai capitato ed è qualcosa che aggiunge un altro tassello nella storia di Ca’ del Brado.
L’acquisto dell’impianto di produzione ci ha permesso di concentrarci in maniera più profonda sulla ricetta delle birre e sugli ingredienti usati. Piano piano stiamo registrando tutte le ricette e oggi vi voglio parlare di una birra, alla sua quarta cotta, di cui siamo veramente orgogliosi.
Prendiamo spunto dal bellissimo post di Brasseria della Fonte sulla Bitter e speriamo che più birrifici abbiano voglia di raccontare nei particolari le loro birre.
TEVLA nasce dall’amore per le birre leggere del Belgio, quelle da bere in pochi sorsi, sfuggenti ma ben caratterizzate dalle tipiche note speziate e leggermente fruttate dei lieviti tradizionali. La folgorazione c’è stata diversi anni fa, bevendo una Westvleteren 6 sapete voi dove.
Dell’ultima cotta fatta a Dicembre 2022 siamo davvero soddisfatti e crediamo di aver trovato la quadra, sia per quanto riguarda il processo di produzione che nell’utilizzo del lievito, in questo caso il nostro autoctono Bunny.
Ricetta e produzione
Plato 8,5, Colore 6 EBC
Il grist è il segunte:
37% Malto Best Pils: neutro e pulito, teutonico.
38% Malto Simpsons FPA Golden Promise: rustico, cerealoso con un tocco di crosta di pane, meraviglioso per birre leggere e chiare ma con la giusta personalità. Forse il mio malto preferito.
20% Frumento non maltato Grani Alti: il frumento di Monghidoro, dona freschezza e una punta acidula meravigliosa. Grazie Il Forno Di Calzolari
5% Carapils: per scaramanzia
60′ 13 IBU Styrian Golding
15′ 3 IBU Styrian Golding
Whirpool 0,25g/L Styrian Golding
Dry Hopping 3g/L Perle
Per la luppolatura andiamo sul monoluppolo di Styrian Goldings, con le sue note leggermente resinose ed erbacee mai invasive, riconoscibili e piacevolmente rustiche. Rapporto BU/GU 0,5 la birra finisce piuttosto secca per cui bisogna andarci cauti con l’amaro.
L’acqua utilizzata è fondamentale ed è la nostra non trattata, rapporto solfati/cloruri 2:1 e di media durezza (16°f), che aiuta ad avere una sensazione palatale più piena.
Il mash è alla belga, per cui multi-step: mash-in a 45°C (con il frumento non maltato aiuta a non bloccare lo sparge), poi 10 minuti a 55°C, altri 25 minuti a 63°C, 20 minuti a 68°C (i due step ci danno un mosto ben fermentabile e con buona efficienza) e mash out a 78°C. La combinazione del mash, dell’acqua, dei malti e della giusta fermentazione è fondamentale per ottenere una birra molto secca ma con un mouthfeel rotondo e appagante.
A proposito del lievito, usiamo il nostro autoctono Bunny (di cui trovate un bell’approfondimento qui) con un pitching rate classico da alta fermentazione. Il lievito Bunny ricorda molto un lievito Kolsh, pulito con una punta di esteri fruttati, mediamente flocculante. Nel nostro caso anche ben attenuante, intorno all’80%. La componente organolettica più erbacea e speziata viene data invece dal dry hopping di Hallertau Perle.
Per la fermentazione usiamo un fermentatore a fondo piatto. Partiamo a 18°C lasciando andare fino a 22°C durante i primi tre giorni, dove si completa circa l’80% della fermentazione. A questo punto aggiungiamo il luppolo per il dry hopping ed eseguiamo il bubbling con CO2 dal fondo del fermentatore, tre volte al giorno per altri 4 giorni. Questo aiuta a mantenere in sospensione il luppolo e a tirar via in maniera più rapida le componenti sufluree. Ora abbassiamo la temperatura a 20°C e lasciamo finire la fermentazione a 1,5 Plato, di solito in un totale di 10 giorni. Eseguiamo poi un cold crash a 0°C per 10 giorni, spurgando quanto basta. Dopo un totale di 20 giorni condizioniamo. Rifermentiamo rigorosamente in bottiglia e in fusto, con aggiunta di destrosio per raggiungere i 2,5 volumi.
Dopo 20 giorni la TEVLA è pronta nei vostri pub di fiducia!
Era il 2015 e ci muovevamo su tanti fronti, ancora sotto copertura, per gettare le basi del nostro progetto di Cantina Brassicola. Business plan, approfondimenti sui lieviti, ricerca dello spazio e delle botti, assaggi di birre, agenzia delle dogane (…), il nome del progetto c’era. Mancavano del tutto le grafiche.
A Sulmona, nel cuore dell’Abruzzo, lo stesso anno una band metalcore appena formata chiamata Remains in a View suonava e sprigionava tutta la carica immaginifica che chitarroni, bacchettate, vocals graffianti, t-shirt e fondali possono raggiungere.
A Ca’del Brado tentammo un primo contatto a tema grafico, chiedemmo un logo in bozza ad un bravo illustratore, senza mettere troppi paletti creativi, che arrivò rapido. Ma noi siamo esigenti e soprattutto siamo in 4 🙂 … Era di ottima fattura, ma volevamo qualcosa in più. Più simboli, più significato.
Quel cantante di Sulmona, mio conterraneo, lo conoscevo da un po’, anche io suonavo nel giro delle band rumorose. Scoprii che era lui a realizzare le illustrazioni e MySpace e poi Facebook fecero da vetrina. Ragazzo calmo e introverso e artista completo: growl, scream al microfono e penna dalla forte personalità. Io apprezzavo moltissimo il suo talento. Sapevo che lavorava per vari gruppi italiani ed esteri, non sapevo esattamente come.
Quindi ci provai: “ragazzi, io conosco un illustratore, è bravissimo, ma disegna belve indemoniate, teschi e zombie”… Il portfolio fece il suo lavoro e in quella occasione, come altre volte successe, con un po’ di audacia e di rischio (visto cosa chiedevamo e cosa era abituato a fare il ragazzo) demmo fiducia a un contatto della nostra rete personale. Sfida accettata, con curiosità e grinta. Il logo arrivò in bozza. Partimmo benissimo e con alcune revisioni fummo davvero soddisfatti. Col passaggio in china poi divenne una tavola davvero impressionante!
Davide Mancini, in arte Dart Works, è un artista completo. Palesemente dedito alle arti grafiche sin da bambino, ha studiato all’accademia di belle arti. Oggi, con la sua matita dà vita al suo universo fatto di orrorifico, fantastico e grottesco soprattutto per il giro della musica (copertine e merchandinig con estetica soprattutto metal, punk e hardcore) e da qualche anno anche con i tatuaggi, inoltre ha messo inchiostro anche su una linea di skateboard. È sempre più molto noto nel giro underground e se lo merita. Per il nostro mondo Ca’ del Brado ha firmato sinora tutte le nostre illustrazioni.
Il lavoro con Dave nasce sempre con un briefing, in cui settiamo una idea cardine: il nome della birra, l’immaginario oppure una allegoria per giocarci sopra. Messa a fuoco l’idea, lavora sulla bozza a matita che è un passaggio difficile: si capisce in un istante la potenzialità del disegno finito. Noi diamo qualche input e poi citandolo “finora non mi è mai stato impedito di mettere del mio anche in queste cose, quindi va bene così”. In effetti a volte insistiamo su cambiamenti o ritocchi 😉 sinora abbiamo sempre trovato la strada che soddisfacesse entrambi. La bozza prende quindi vita: si butta sulla lavagna luminosa e parte con l’inchiostro, mezzo con cui spazia dalle campiture piatte, al dotwork, passando per retini e tratteggio. Ultimata questa fase, la digitalizzazione serve a pulire, colorare e qualche volta correggere piccole imperfezioni.
Ricevuto il master in Ca’ del Brado, partiamo con l’editing dei layout: impaginazione per etichette bottiglie e fusti, medaglioni spine, design per il merchandising e per il sito, supporti cartacei e tanto altro ancora. Ad oggi, queste lavorazioni grafiche le gestiamo ancora internamente noi soci, è un lavoro che ci piace e snellisce il processo produttivo. Un domani chissà… Il birrificio evolve di continuo, con piede lento, ma mantenendo una filosofia stabile, di certo la collaborazione con Dave andrà avanti.
Prendendo sputo da questa bellissima serata fatta a marzo 2022 assieme a Drogheria delle Api abbiamo voglia di parlarvi di abbinamenti gastronomici tre le nostre birre e prodotti a bassa trasformazione, in una tipologia di pairing basato puramente sulla materia prima di qualità, da una filiera riconducibile e che condivide una certa filosofia produttiva.
Gli abbinamenti tra birre wild o sour e formaggi, salumi e panificati sono una direzione tradizionale e consolidata, in primo luogo perché rappresentano un connubio strepitoso e in secondo perché condividono fermentazioni, sensazioni di acidità o lattiche e in alcuni casi note aromatiche (cantina, pungenze funky, ecc.).
Oltre a noi i produttori coinvolti – da selezione Drogheria delle Api – sono stati La Vecchia Scuola Montalto per il pane e Ferdy Wild per i formaggi.
Ecco qui un breve racconto della degustazione:
Burro da panna di affioramento con colatura di alici, su pane integrale grano Virgilio Marciori Biofarm (Montese)
La grassezza, viscosità e scioglievolezza di questo fantastico burro viene stemperato dalla freschezza lattica di Nessun Dorma, che aiuta anche a dissetare la sapidità della colatura di alici, esaltando le note citriche e di frutta a pasta bianca della bevuta. La profondità cereale nel morso del pane va a sorreggere le sfumature di cantina e gli accenni vanigliati del passaggio in legno, trovando anche un connubio nell’acidità del pairing
Robiola di Capra Orobica e bresaola di Bruna Alpina con pane integrale Grano Marzuolo Nicolini (Pietracolora)
La pastosità cremosa della robiola viene ben contrastata dalla freschezza di Invernomuto mentre la parte saporita e selvaggia del formaggio esalta le componenti di cantina della bevuta. La presenza dolce, fresca e delicata della bresaola esalta le componenti agrumate della bevuta mentre il pane accompagna il tutto con esaltando la croccantezza cereale del sorso
Ciabatta farina antiqua molino Bongiovanni (Torino) con Mascherpa stagionata 3 mesi e luganega di pecora gigante bergamasca
Un panino salume e formaggio può essere strepitoso! In questo caso le componenti sapide, di cantina e animali della luganega trovano un’assonanza perfetta nelle medesime componenti della bevuta, mentre la dolcezza del formaggio ben si sposa con le note di albicocca acerba della brett lambicus. I toni maltati seppure snelli del sorso sono ben accompagnati dalla texture consistente del pane utilizzato
Agro di Capra Orobica con confettura di mirtillo nero di montagna e focaccia integrale di farro monococco
Il rincorso goloso, lattico e fruttato del connubio tra formaggio e confettura si amalgamano in concordanza con la bevuta mentre le sensazioni officinali del tè pu’er percepibili al sorso vengono ben sostenute dalla struttura della focaccia di farro. L’acidità della bevuta e le pungenze wild trovano un bel matrimonio con la confettura di mirtilli
Poche settimane fa Jennifer Ruffini si è laureata all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia con una tesi sui lieviti di Ca’ del Brado. E’ la seconda tesi ospitata nel birrificio e anche questa è stata ricca di contenuti, di stimoli e di sorprese!
A Biotecnologie Industriali fanno sul serio. La Prof.ssa Solieri è una professionista, di quelle rare, che oltre a fare il proprio lavoro in modo eccellente, trasmette il senso di motivazione a studenti e collaboratori lavorando con umiltà e dedizione. Da Pierangelista quale sono, aver conosciuto uno scienziato del settore pubblico di questo spessore è motivo di notevole orgoglio, oltre che di soddisfazione come partner.
Iltitolo della tesi? “Unveiling phenotypic and genetic diversity in a wild brewing microbial population to drive innovation in craft beer starter cultures”, che tradotto vuol dire che la tesi aveva 2 obiettivi: caratterizzareil microbiota dal punto di vista tassonomico e tecnologico che fermenta e affina le nostre birre e costituire una biobanca di ceppi, Saccharomyces e non, da usare per futuri utilizzi come coltura autoctona, quindi un lievito “di casa”.
Tanta roba: per Ca’ del Brado la filosofia è di lasciar fare la birra alla natura – accompagnandola e creando gli ambienti fermentativi opportuni -, questo progetto di tesi è quindi estremamente utile sia per continuare a studiare il mondo del lievito, sia per avere sempre maggiore consapevolezza del nostro processo. E perché no, anche per poterlo divulgare.
Ricerca applicata
Ca’ del Brado ha fornito dei sedimenti di fermentazione di tre birre rappresentative, una con uva, una con frutta e una saison. Non pensavamo che il lavoro di laboratorio sarebbe stato così esteso! Per creare una biobanca, dopo aver scelto un campione di cellule, le attività sono mooolto strutturate e Jennifer è stata un asso di precisione e metodo: bisogna isolare lieviti e batteri, differenziarlianalizzandone il DNA con più tecniche, fare test di performance (microfermentazioni, capacità di sporificare e testare la vitalità delle spore). Per non farci mancare niente abbiamo lavorato sia su lieviti che su batteri lattici. La popolazione campione scelta da Jennifer e la Prof.ssa Solieri è stata di 50 lieviti e 7 batteri ed erano solo il 20% di tutti quelli isolati.
I risultati dello screening
L’isolamento è iniziato usando piastre di coltura di due tipi, WL (Wallerstein Laboratory) e YPDA, cioè due terreni, solido e liquido, per l’analisi quali-quantitativa della popolazione, con i quali si differenziano le cellule analizzando morfologia e colore delle cellule, come si vede dalla foto.
Poi arriva il DNA barcoding, una tecnica di microbiologia che serve a identificare a quale specie appartiene un individuo utilizzando un breve tratto del suo DNA. In pratica cerca una sequenza chiave, una “firma”, che faccia risalire alla specie dell’essere vivente. La ricerca di questa firma, nel caso dei lieviti, viene eseguita su alcuni database mondiali, come lo YeastID database (www.yeast-id.org) o il GenBank, che questa ricerca ha contribuito ad arricchire!
Lo screening ha portato all’identificazione di possibili 5 biotipi di lievito, poi confermati con ulteriori analisi (alcuni in foto sotto):
mentre per i batteri lattici, quello dominante è stato il Pediococcus damnosus/parvulus.
Non male! Diciamo che sui primi tre lieviti potevamo scommetterci una botte (piena). Sugli ultimi due ben poco, anche se tutto torna considerando che la nostra contaminazione può tranquillamente arrivare dalle bucce delle uve e delle altre frutte.
Una cosa ancor più sorprendente delle specie scoperte è però è la loro quantità: il S. cerevisiae (col 70% degli isolati) è la specie dominante (per fortuna..), ma è seguita dalla Pichia membranifaciens col 16%! Solo dopo abbiamo il S. bayanus (6%) e il B. bruxellensis/lambicus (4%) e il B. anomalus/claussenii (4%).
Ripulire il campione
E se stessimo riscoprendo un lievito già noto? Del resto eravamo a caccia di lieviti autoctoni, quindi originali. Ci siamo subito messi all’opera con spirito di onestà scientifica per fare un ulteriore (lungo) lavoro di esclusione dei lieviti commerciali che utilizziamo in birrificio quando rinfreschiamo le colture (come i brett, i saison, il lievito da rifermentazione ecc). Abbiamo quindi raccolto i campioni che poi l’Università ha analizzato, per escluderli dai lieviti autoctoni candidati. Anche in questo frangente si è dimostrata l’altezza intellettuale del team universitario.
Si passa alla birra!
Ma come performano questi lieviti nel fare la birra? Beh era un aspetto importante 🙂
Quindi, ai fornelli… del lab. I test di assimilazione di maltosio e glucosio verificano intanto che i lieviti li consumino e ovviamente anche in quanto tempo. Un altro test è una vera e propria microfermentazione di mosto luppolato, Qui si traccia un po’ tutto quello che interessa sapere a un birrificio: i parametri cinetici come tempo di lag (A), tasso di fermentazione (B), massima efficienza di produzione di CO2 (C), attenuazione, flocculazione, ma anche la sporulazione (leggete sotto).
Dei lieviti analizzati, tra le curiosità maggiori si è scoperto che il nostro ceppo di Pichia membranifaciens ha mostrato capacità di assimilare maltosio, nonostante la specie sia descritta come incapace di assimilare questo zucchero! Alcuni dei lieviti hanno performance notevoli, ossia paragonabili a quelle dei lieviti commerciali. Quindi bingo! Potremmo usarli come ceppo “di casa” per fermentare una o più birre. Questo era in effetti il nostro principale obiettivo di breve termine ed è stata una fantastica e rassicurante notizia averlo saputo durante la tesi.
Sporulazione e vitalità delle spore: l’ibridazione
Queste due caratteristiche sono di grande interesse tecnico poiché lieviti ad alta sporulazionesi ibridano facilmente tra specie diverse e generano nuove specie. Questa “tecnica non-OGM” potrebbe essere usata per generare ad esempio lieviti con fenotipi (le caratteristiche manifestate, non solo quelle contenute nei geni) che migliorano le performance di fermentazione. L’ibridazione si verifica se le spore sono vitali. E’ emerso che alcuni dei nostri cerevisiae hanno alta sporulazione, tuttavia non abbiamo approfondito questo campo di lavoro: abbiamo cercato invece di ottenere più dati sui lieviti già isolati e quindi “pronti da usare”.
Cosa faremo di questi risultati?
La tesi ha avuto un esito decisamente promettente. Innanzitutto abbiamo capito quali organismi abbiamo attualmente in botte in almeno tre delle nostre birre più “spontanee”. Poi abbiamo stilato una classifica su come i migliori lieviti scovati si potrebbero comportare in fermentazione. I tre lieviti “candidati a vincere” la nostra classifica sono stati infatti mandati in laboratorio per una propagazione, per preparando quindi i test su campo, da fare in birrificio. I tre migliori lieviti sono stati un Saccharomyces cerevisiae, la Pichia membranifaciens e un Saccharomyces bayanus/uvarum. Abbiamo eseguito tre fermentazioni pilota su lotti da 5 litri di nostro mosto e fatti i dovuti riscontri “su pista”: attenuazione, flocculazione e tempi… e imbottigliato le tre birre.
In realtà abbiamo anche eseguito gli assaggi. Ma per questi aggiornamenti vi rimandiamo al progetto Tevla, che sta ereditando e mettendo a frutto questo progetto utilizzando appunto il lievito autoctono Saccharomyces cerevisiae, che a seguito di sondaggio è stato nominato BUNNY (Bologna Unknown Native Naughty Yeast).
Una bella eredità
Ringraziamo la Prof.ssa Solieri e Jennifer per il grande contributo che hanno fornito a noi e crediamo anche al mondo birrario, perchè riteniamo di aver concluso una collaborazione con cui abbiamo sì ricevuto un grande valore per i nostri prodotti, ma abbiamo anche dato come Ca’ del Brado un caso di studio interessante alla ricerca e indirettamente generato dei risultati che hanno arricchito banche dati, banche lieviti e in generale la cultura scientifica del nostro settore e speriamo anche la qualità dei prodotti che noi e i nostri successori berremo con grande piacere!
Quest’anno per le feste natalizie – assieme alla nostra birra Anniversario 2021 – abbiamo deciso di realizzare un panettone Brado (con parte dei ricavati devoluti in beneficenza – vedi sotto, negli ultimi paragrafi di questo articolo, per i dettagli).
Si tratta di un panettone artigianale a tiratura limitata realizzato appositamente da forno Calzolari con canditura di albicocche, noci, impasto con la nostra birra Anniversario 2021 e speziatura di cascara (buccia di caffè) in analogia con la birra stessa.
In occasione del lancio di Anniversario 2021 – il 7 DICEMBRE 2021 – ci sarà un evento in cui verrà resa disponibile in mescita, in anteprima, nei seguenti locali (lista in aggiornamento):
Due parole sulla birra: Anniversario 2021 è una sour ale che celebra il quinto compleanno della nostra cantina brassicola. La base di questa birra ha effettuato una fermentazione primaria mediante Brettanonyces Lambicus per poi maturare in legno per un periodo di circa 8 mesi, al termine dei quali è stata connotata dall’infusione a freddo di cascara: buccia e polpa essiccata della drupa della pianta del caffè (in collaborazione con Trevo Coffee Roastery, torrefazione Specialty).
La speziatura trova spazio nel bouquet aromatico e nel retrogusto con suggestioni quali frutta rossa, ibisco, reminiscenze di tabacco e caffè. L’acidità variegata e le pungenze dei lieviti selvaggi (frutta gialla, albicocca acerba, animale, cantina), caratterizzano questa bevuta ricca di sfumature e di grande evoluzione nel bicchiere.
L’idea del panettone è stata sviluppata in sinergia con Matteo Calzolari, amico, esperto di panificazione e fonte di scambio già per altri progetti del birrificio (come ad esempio supporto nella selezione di grani alti dell’appennino da utilizzare in cotta nelle nostre ricette brassicole).
Canditura di albicocche a richiamare le note fruttate della birra, utilizzo della stessa come parte dell’impasto e speziatura di cascara sono i punti di contatto per l’abbinamento con la nostra sour ale Anniversario 2021.
Barrel aged sour beer & panettone? Yes we can!
La nostra impresa artigiana ha scelto di devolvere parte dell’acquisto del panettone Brado come contributo all’associazione Asp Laura Rodriguez y Laso de Buoi, in particolare al Centro Socio-riabilitativo Diurno “Casa dell’Arcobaleno”.
Il Centro Socio-riabilitativo Diurno “Casa dell’Arcobaleno” – sito a Carteria di Sesto (Pianoro – Bo) – è una struttura adibita all’ospitalità diurna di persone con disabilità fino a un numero massimo di 16 posti. E’ una struttura territoriale aperta di sostegno, di socializzazione, di aggregazione e di recupero per persone diversamente abili. Si caratterizza per promuovere, con un adeguato intervento educativo personalizzato, il recupero delle potenzialità psicofisiche della persona e per la sua integrazione nel contesto locale e sociale.
Oltre alla donazione è stata occasione per collaborare con questa realtà del territorio dedita al sociale – che opera a pochi passi dalla nostra azienda – attraverso un monte ore in cui i ragazzi del centro hanno effettuato attività manuali/didattiche all’interno del nostro birrificio.
Ci sembra l’augurio migliore per un 2022 portatore di serenità.
Buon Natale e felice anno nuovo dal team di Ca’ del Brado
Come nasce un piatto, un abbinamento? Alle volte fortemente voluto, (ri)costruito, studiato e provato, ma altre volte (tante, per me) ti si forma spontaneamente sulla punta della lingua, per uno stimolo improvviso, un odore, un sapore, un’associazione di idee.
A me succede praticamente ogni volta che degusto una buona birra o un buon vino. Non è l’abbinamento sapiente di un sommelier, quale ahimè non sono, è proprio che le papille gustative – boom! – fanno contatto col cervello e, mentre processano gli aromi ed i sapori che li titillano, “chiamano” per associazione degli ingredienti, delle consistenze.
Poi succede che ti metti a seguire gli stimoli, a corrergli dietro, e finisci in una tana di Bianconiglio piena di bivi e di “questa spezia o quell’erba?”, “sbollento o arrostisco?” ed ecco che il piatto prende una vita sua.
È esattamente questo che è successo quando gli amici Bradi mi hanno chiesto un’idea, un piatto abbinato ad una loro birra. Adoro le loro birre e, per eventi/lavoro o per puro piacere, ho già un buono storico di piatti/abbinamenti, ma mi piaceva l’idea di studiare qualcosa di nuovo. Per varie ragioni e ragionamenti, mi girava in mente da un po’ l’idea di un piatto che ricordasse la calçotada, rustica ma sublime grigliata che in Catalogna celebra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera e a cui ho avuto la gioia e la fortuna di partecipare anni fa, in un periodo felice di vita trascorso a Barcellona. Di primo acchito ricordi e sentori mi hanno portata a pensare alla Invernomuto, per una concordanza di complessità e sfaccettature, dal rustico all’ineffabilmente elegante.
Poi, quando ho iniziato a mettere mano ad ingredienti e cotture, il piatto mi ha confermato che la cantina era la direzione giusta, ma c’era qualcosa in più che “spingeva” per emergere. Tra i cipollotti (scelta locale in mancanza del tipico calçot catalano) arrostiti e l’ispirazione di provare a fermentare la classica salsa romesco di accompagnamento, tra la tostatura delle nocciole e l’impiego del pimentón – un peperoncino affumicato a cavallo tra dolce e piccante – si è sviluppata una sinergia intensa, profumata di terra fresca e di fumo e al tempo stesso briosa e invitante, quasi come… un tè orientale…
“Pu erh”, ecco cosa! C’era una birra Brada con il Pu erh, sono sicura… una passata Anniversario, mi sa.” Rapida consultazione con i ragazzi ed ecco che il cerchio si è chiuso: il piatto aveva scelto la SEI MONTAGNE (che nasce proprio dal ricordo della Anniversario 2017, ndr).
PS: ovviamente, il discorso vale anche per l’impiattamento della ricetta. Assaggiando, ho immaginato due differenti versioni: una più piccola e raccolta, da gustare come tapas, ed una più generosa, da servire come piatto. E quindi… ecco entrambe, ad ognuno la sua opzione preferita.
“CALÇOTADA IN CANTINA”
Per 4 porzioni intere, o 8 tapas
Salsa Romesco semifermentata:
A) per la base da fermentare:
Peperoni rossi (meglio se del tipo “corno”) 350 g
2 ñoras ammollate mezz’ora in acqua tiepida (sono particolari peperoni secchi spagnoli, in mancanza aggiungere un cucchiaino di pimentón)
2 spicchi di aglio
30 g zucchero semolato
10 g sale (NON iodato)
1 scalogno medio
1 cucchiaino di pimentón o paprika affumicata
B) per completare:
40 g di pane integrale rustico di ottima qualità, leggermente raffermo
40 g nocciole
30 g mandorle
2 cucchiai aceto di Jerez o di mele
Olio extravergine di oliva
Frullare metà dei peperoni (mondati e privati dei semi) con uno spicchio di aglio, le ñoras private del gambo e dei semi, sale e zucchero.
Arrostire in padella di ferro o sotto al grill i rimanenti ingredienti di A) con un filo d’olio per 5/6 minuti. Lasciar raffreddare, unire tutto e frullare nuovamente, fino ad ottenere una crema quasi liscia.
Mettere in un vaso con coperchio airlock,oppure coperto da una garza fissata con un elastico e far fermentare per 5/8 gg in luogo riparato dalla luce. Dovranno vedersi delle bollicine alla base del composto e si inizierà a sentire un profumo fresco e leggermente “frizzante”.
Aggiungere alla base fermentata il pane a tocchetti, le nocciole e le mandorle e fatti leggermente tostare in forno. Unite l’aceto e frullate, unendo olio a filo fino ad ottenere una salsa cremosa. Regolare di sale e aceto, a piacere e riporre in frigorifero.
Mantecato di cavolfiore:
350 g cimette di cavolfiore, una patata da 200 g circa, 300 ml latte, una piccola cipolla bianca, 1 spicchio aglio, 10 grani pepe nero, 1 foglia alloro, 10 capperi salati, una decina gambi di prezzemolo, 40 g olio di girasole e 20 g olio extravergine di oliva, 3 acciughe sotto sale o sottolio di buona qualità (omettere, per una versione vegetariana).
Bollire la patata, partendo da acqua fredda leggermente salata. Spellarla e schiacciarla immediatamente, conservare in caldo, coperta in una terrina.
Porre il cavolfiore in una pentola, coprire con il latte più l’acqua necessaria a sommergere le cimette di un paio di dita, il pepe, l’alloro, i capperi (NON dissalati), i gambi di prezzemolo, l’aglio e la cipolla tagliata in quarti.Far cuocere a fiamma media finché il cavolfiore risulterà tenero, 10/12 minuti, poi scolare e porre nel bicchiere del frullatore. Filtrare e conservare il liquido di cottura, pescando e unendo al cavolfiore l’aglio, i capperi e la cipolla. Unire anche le acciughe, se si utilizzano. Frullare, aggiungendo liquido di cottura fino ad avere un composto soffice. Unire alla patata schiacciata e montare con una frusta, meglio se elettrica (NON frullare!), unendo a filo il mix di olii ed eventualmente liquido di cottura del cavolfiore, fino ad ottenere una mousse soffice, ma che “stia in piedi”. Regolare eventualmente di sale.
Per completare:
4 cipollotti verdi del diametro di circa 2 cm, 2 cucchiai di mandorle tagliate a lamelle o a filetti, leggermente tostate, qualche stelo di erba cipollina, fili di peperone essiccato o un cucchiaino di pimentón, sale.
Mondare accuratamente i cipollotti, eliminando solo le radici e appena un poco della cima vedre, se fosse rovinata. Tagliarli a tocchetti di 3 cm circa, condirli con un filo di olio ed un pizzico di sale. Scaldare una griglia o una padella di ferro e grigliare i cipollotti per 2 o 3 minuti, dovranno tostarsi, ma non ammorbidirsi eccessivamente.
Comporre il piatto con una base di salsa Romesco, una o più quenelles di mantecato di cavolfiore e disporre i cipollotti grigliati. Guarnire con le mandorle, l’erba cipollina sminuzzata finemente ed i fili di peperone, o il pimentón. Si serve e degusta a temperatura ambiente, con solo i cipollotti caldi di griglia.
Cuoca, laureata in Lingue e Letterature Straniere, un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione, Diletta Poggiali è instancabile, curiosa e appassionata di ogni aspetto del mondo del cibo, dalle origini alla preparazione, dalle tradizioni, alle novità creative e sperimentali. Oltre ad aver lavorato in numerose cucine differenti per taglio e proposta, tiene corsi, consulenze e scrive di ricette, cultura del mangiare e del bere. È una firma fissa da 10 anni per la rivista Cucina Naturale ed ha collaborato con il Cucchiaio d’argento ed altre testate cartacee e online, tra cui Fermento Birra, per il suo grande amore per il mondo brassicolo.
Se fosse una birra, probabilmente sarebbe una Wild Gose.
Pochi giorni fa abbiamo concluso i lavori su un progetto di grande interesse, sia per i risultati pratici che per la strada che ha aperto a collaborazioni future, che speriamo possano accrescere le nostre conoscenze sulla birra. Il progetto è una tesi di laurea sulla sanificazione delle botti e sul monitoraggio del lievito. Ma andiamo per ordine.
Mattia si sta per laureare all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Studia al Dipartimento di Scienze della Vita – Agraria. Ci siamo conosciuti perché Mattia è un (bravo) homebrewer del territorio e abbiamo presto colto l’occasione per lavorare insieme, nonostante le difficoltà causate dl Covid-19. Ca’ del Brado ha tanti progetti nel cassetto, ne abbiamo tirato fuori uno: abbiamo subito contattato il Prof. Pulvirenti del Corso di Controllo e Sicurezza degli Alimenti, che ha prontamente risposto alla nostra chiamata. Siamo partiti immediatamente.
Sanificare nel mondo sour: sì, ma quanto?
Abbiamo voluto fare ricerca sui metodi di sanificazione delle botti. Nel tempo infatti abbiamo adottato in cantina varie procedure per questo scopo. Il nostro obiettivo non è mai stato sterilizzare le botti, sarebbe sacrilego e controproducente, oltre che estremamente difficile. Piuttosto cerchiamo di mantenere entro certi limiti la carica microbica di lieviti e batteri e (fondamentale!) lo facciamo solo per quelle birre che vogliamo indirizzare verso mondi gustativi un po’ più selezionati, come il progetto Piè Veloce, dove, come sempre ricordiamo, inoculiamo Brettanomyces fresco unito ad una piccola base recuperata. Controllo e stato brado, compenetrati indissolubilmente è la nostra filosofia.
Sanificare come?
Sinora abbiamo pulito le botti con varie tecniche, a seconda della birra da introdurvi e dello stato che di volta in volta vi troviamo. Per tonneau e barrique usiamo fare ad esempio risciacqui, altre volte acqua a pressione, altre ancora cicli di pulizia a caldo (acqua a 90°C). I foudre invece li puliamo entrandovi dentro, con azione sia meccanica (spazzole leggermente abrasive) e getto d’acqua, a volte calda. Non usiamo mai prodotti di sintesi liquidi per il lavaggio, più per scelta filosofica che per reali controindicazioni.
L’ozonizzazione è una tecnica di sanificazione già sdoganata nel mondo del vino, dove se escludiamo le produzioni dei vini naturali, si cerca di eliminare qualsiasi contaminazione negli affinamenti in legno. L’ozono è infatti ossigeno “arricchito”, cioè O3 invece che O2, è un gas estremamente ossidante (sanifica molto più del cloro) e distrugge quindi le strutture biologiche della materia organica con cui viene a contatto (le pareti cellulari dei lieviti ad esempio). Poi degenera e si trasforma in ossigeno, quindi non lascia residui, non va risciacquato ed è economico. Va sì gestito con cautela (evitando inalazione e qualsiasi contatto con il corpo) ma è decisamente valido!
Usandolo nelle botti, è la superficie interna del legno ad essere sanificata, non il volume interno del legno che compone le doghe. Questo vuol dire che sotto la superficie del legno è altamente probabile che i microrganismi sopravvivano al trattamento e che possano quindi entrare a contatto con il mosto di birra immesso successivamente, contaminandolo. Questa eventualità è accettata dal nostro birrificio perché contribuisce alla complessità della fermentazione della bevuta.
Dove trovo l’ozono? Come lo uso?
Tuttavia l’ozono va prodotto sul momento, non è possibile stoccarlo, perché si degrada velocemente in ossigeno semplice, stabile. Si devono usare quindi delle macchine ozonizzanti, che fino a poco tempo fa erano difficili da trovare, molto grandi e molto costose. Con l’avvento di nuovi produttori asiatici e dei canali di vendita online globali, ora si trovano macchine da ozono piccole ed economiche. Ne parlò anche Nicola Coppe qualche tempo fa. Queste macchine purtroppo non producono affatto l’ozono che dichiarano (abbiamo condotto ricerche interpellando enti di certificazione) ma decisamente meno. Ma ciò non è un problema: ciò che interessa a noi di Ca’ del Brado è conoscere la giusta tempistica di esposizione, usando la nostra macchina, i nostri tubi, le nostre geometrie delle botti e la nostra flora microbica. Quindi solo una sperimentazione con analisi può dare risposte con cui fissare una procedura. E qui entra in gioco la tesi.
Con Mattia infatti abbiamo costruito con la stampa 3D un supporto per tubo in cloruro di polivinile clorinato (CPVC), materiale inerte nei confronti dell’ozono, per poter collegare un tubo in silicone di grossa sezione alla macchina dell’ozono da infilare nella botte. L’ozono viene spinto nella botte dalla ventola della macchina stessa. Poi in ambiente sicuro e ventilato abbiamo eseguito differenti test di ozonizzazione, attivando con diverse tempistiche di esposizione la macchina e verificando l’esito dell’operazione con tamponi e piastre di coltura, campionando le pareti della botte ad intervalli regolari. L’obiettivo è stato quindi calibrare l’ozonizzazione corretta delle botti per ridurre la carica batterica al livello desiderato, senza abbatterla completamente. Volete altri dettagli? Leggete ancora.
Per eseguire le prove abbiamo usato l’ozonizzatore MV Power Concise Home da 5000 mg/h. Per tamponare le doghe abbiamo usato un’asta, infilata dal cocchiume. Per ogni prelievo abbiamo sanificato l’asta con acido peracetico, applicato delle garze sterili monouso in cima. Dopo il tamponamento abbiamo trasferito e diffuso il campione organico su piastre 3M PetriFilm, bagnandolo con sodio cloruro sterile e siringhe monouso, il tutto lavorando vicini a un becco Bunsen. Abbiamo incubato le piastre in una camera riscaldata a 25°C. Abbiamo eseguito due sessioni di lavoro su due botti diverse.
I risultati
Per dare una idea dell’efficacia dell’ozono, va considerato che i lieviti sono molto sensibili all’ozono, i batteri sono leggermente più resistenti. Le muffe sono ancora più difficili da inattivare, specie le loro spore:
Batteri (E. Coli, Mycobacterium, Fecal Streptococcus)
sono inattivati a 0,23 ppm – 2,2 ppm per meno di 20 minuti
Muffe (Aspergillus Niger, vari ceppi di Penicillum, Cladosporium)
sono inattivati a 2 ppm per 60 minuti
Funghi (Candida Parapsilosis, Candida Tropicalis)
sono inattivati a 0,02 ppm – 0,26 ppm per meno di 2 minuti
(Fonti: Edelstein et al.,1982; Joret et al.,1982; Farooq and Akhlaque, 1983; Harakeh and Butle,1986; Kawamuram et al. 1986)
Analizzando i tamponi, si vede che dopo poco più di due ore di ozono, lieviti e batteri sono inattivi. Restano attive le muffe, che le piastre amplificano, visto che proliferano anche se sono presenti in piccolissime quantità sul legno. Le muffe non hanno un ruolo nella nostra cantina. Non avendo avuto problemi di muffa nelle botti, il progetto ci ha quindi fornito i dati per poter usare efficacemente l’ozono per controllare lieviti e batteri.
La collaborazione con l’Università, che cercavamo di ingaggiare da un po’, è ufficialmente partita. E’ un rapporto che ci sentiamo di consigliare anche ai nostri colleghi birrai artigiani. I pregiudizi sono da mettere da parte: è una collaborazione che non è a esclusivo appannaggio dell’industria. La difficoltà è trovare l’interlocutore giusto. Noi abbiamo conosciuto professori interessati e appassionati, per cui come noi la vera motivazione per lavorare sono la passione e la conoscenza. A breve infatti vi racconteremo di un altro progetto in partenza.
Non sappiamo ancora in quali occasioni ricorreremo all’ozono. E’ un’arma a nostra disposizione, che si aggiunge alle altre che già usiamo per tenere in buona salute la cantina e le botti, prima di immettervi il mosto o la birra. Cioè per far sì che il prodotto che cullano sia sempre in grado di esprimere, con i sui tempi, la sua potenza.
I nostri primi passi nell’avventura Ca’ del Brado iniziano circa sette anni fa con un focus specifico sui brettanomyces (i celebri lieviti selvaggi).
Chi ci conosce dal principio forse si ricorderà che la prima birra uscita dalla bottaia fu Piè Veloce Brux, precisamente a dicembre 2016, mese che da allora è diventato occasione di celebrazione del nostro Anniversario, con anche un progetto brassicolo dedicato ogni anno differente.
Abbiamo quindi voglia di spiegarvi qui come sono nate le idee e la successiva fase sperimentale che ci ha portato a realizzare le nostre Brett Ale: Piè Veloce.
Innanzitutto sfatiamo un falso mito: Brett = acidità… non è così!
Il brettanomyces è infatti portatore di note wild – selvagge, “funky” (termine brassicolo che identifica aromi peculiari quali cantina, formaggio, aia, cuoio, carte da gioco, animale, pungenze speziate/fruttate), fresche se vogliamo – ma se non esposto a quantità importanti di ossigeno (che gli farebbero produrre acido acetico ossidando etanolo e zuccheri residui) non è responsabile del raggiungimento di pH particolarmente bassi.
Nelle birre sour che vedono legno (barrel aged), anche se è spesso presente una contaminazione di brettanomyces, non è essa la principale responsabile della caratterizzazione dei diversi tipi di acidità, bensì le flore microbiche, soprattutto di batteri lattici come Pediococchi e Lattobacilli.
Nelle nostre Piè Veloce infatti l’acidità presente è più delicata che in altri progetti, ed è dovuta all’ambiente batterico presente nei tini della bottaia. Quando diciamo 100% Brett infatti intendiamo che è la fermentazione primaria ad essere eseguita dai brettanomyces, ma sappiamo di fare un’approssimazione rispetto all’apporto “spontaneo” successivo dato dal legno.
Su cosa sono i lieviti selvaggi (brettanomyces o Brett), non spenderemo toppe parole in questo articolo, chi di voi vuole curiosare può però trovare info su WIKIPEDIA o FERMENTO BIRRA.
Vale comunque la pena fare una premessa: “birre brettate” è un termine inflazionato e la connotazione a cura dei Brett può avvenire in diversi momenti e modi in birrificazione.
Ci sono casi celebri come l’Orval, dove è inoculato successivamente al Saccharomyces e ha uno sviluppo funky nel tempo (ma appunto non acidità), in quanto il lievito Saccharomyces effettua la fermentazione primaria e il Brett poi lavora in condizioni di stress, avendo a disposizione i soli zuccheri complessi che i saccaromiceti non riescono ad assimilare (e queste note funky saranno tanto più percepibili tanto più faremo invecchiare la bottiglia).
I brettanomyces sono ovviamente presenti anche nelle birre a fermentazione spontanea, patrimonio storico del Belgio, all’interno di un ambiente fermentativo estremamente eterogeneo e con diverse specie di Brett in azione.
Inoltre l’utilizzo di botti di legno – ambiente ideale per i Brettanomyces in termini di attecchimento e proliferazione, se non specificatamente trattate – può essere un importante veicolo di contaminazione: per questo i passaggi in legno possono risultare metodologie ideali per ottenere birre connotate naturalmente dai Brett.
La nostra modalità è ancora diversa: inoculiamo i Brettanomyces per la fermentazione primaria e in modo esclusivo (100% Brett) così da enfatizzare a pieno le caratteristiche del singolo ceppo scelto – in termini di aromatica, sfumature e note funky – e valorizzarne al massimo le capacità di attenuazione (e quindi la possibilità ottenere birre di grande freschezza nonostante un discreto tenore alcolico).
Abbiamo quindi deciso di intraprendere una direzione produttiva specifica, incarnata da uno stile pressoché inesplorato in Italia: le Brett Ale (con invece una scuola abbastanza affermata in USA). È stata fonte grande soddisfazione averne fatto un’interpretazione personale e che queste birre siano poi diventate una bandiera della nostra Cantina.
Partiamo dal nome che abbiamo scelto: Piè Veloce. L’epiteto di Achille, eroe celebre per la sua velocità nella corsa, simboleggia che all’interno dei cicli produttivi lenti che caratterizzano Ca’ del Brado, queste sono le nostre birre a più rapida maturazione. Nascono infatti per essere bevute fresche (quando l’esplosività aromatica è all’apice) o possono essere lasciate invecchiare, per scoprirne l’affascinante evoluzione nel tempo.
Ciò che accomuna le varie Piè Veloce è prevalentemente questo:
– utilizzo di segale e frumento in fiocchi nel grist dedicato a questi mosti (per dare rusticità e fornire amidi e destrine al lavoro dei lieviti selvaggi)
– inoculo di brettanomyces fresco del ceppo selezionato, propagato nel nostro laboratorio del lievito
– fermentazione esclusiva effettuata mediante brettanomyces fin dalla primaria (oltre alle contaminazione della flora microbica dei passaggi in legno)
– affinamento prevalentemente in botti grandi (foeder)
È importante sottolineare come questi due prodotti non siano distinti unicamente dalla variante di Brett utilizzato – in un caso Bruxellensis e nell’altro Lambicus – ma siano a tutti gli effetti birre differenti.
Per addentrarci in questo vale la pena fare un passo indietro: durante la fase sperimentale precedente all’apertura della Cantina abbiamo dato in pasto un mosto omogeneo a diversi ceppi di brettanomyces, per verificarne empiricamente gli sviluppi e familiarizzare con questi lieviti selvaggi.
Facendolo abbiamo preso atto di come nei vai lotti si potessero riscontrare differenze sensibili nei profili aromatico gustativi e ci siamo innamorati in particolare di due di essi: Bruxellensis e Lambicus.
Sebbene Bruxellensis e Lambicus siano stati recentemente riclassificati biologicamente come facenti parte dello stesso ceppo, i lieviti prodotti con questi nomi presentano comunque differenze peculiari e distintive.
Se utilizzati fin dalla primaria, per noi richiamavano queste suggestioni:
– Bruxellensis: pesca acerba, uva bianca, agrumi, reminiscenze tropicali e note funky di formaggio e cantina – Lambicus: albicocca matura, una profondità polverosa, note funky di animale e cuoio
Partendo da qui abbiamo quindi lavorato a ritroso, realizzando ricette di mosti differenti, atti a valorizzare il successivo lavoro del lievito: una direzione più “americana” per il Bruxellensis (malto base pils e luppolatura Amarillo) e una più “inglese” per il Lambicus (malto base pale e luppolatura Styrian Golding).
Vista l’attitudine moderna di queste birre abbiamo anche pensato di fare di ognuna una versione con dry-hopping, per evidenziare alcune note della matrice aromatica: – Piè Veloce Brux Cascade: con del luppolo classico americano (Cascade) ad enfatizzare le componenti agrumate – Piè Veloce Lambicus Golding: attraverso lo Styrian Golding si sottolineano le note terrose ed erbacee già percepibili nella bevuta
La luppolatura a freddo è comunque delicata (circa 3 gr/lt) per non snaturare il lavoro del lievito e viene effettuata in acciaio al termine dell’affinamento in legno.
Per concludere un piccolo cenno sull’immagine presente in etichetta, che gioca sul paradosso di Zenone reinterpretato con il nostro caro bradipo totemico che gareggia con Achille, al posto della tartaruga.
Tra Piè Veloce Brux e Piè Veloce Lambicus (versioni dry-hopping comprese), c’è un piccolo dettaglio illustrativo differente, i più curiosi di voi che hanno una bottiglia a casa potranno giocare a find the difference. E se non avete una bottiglia a casa, mi sa che dovrete rimediare.
“Tu conosci l’eccessiva veemenza della gioventù, com’è rapida a prender fuoco, quanto manca di raziocinio” – Omero.
“Sbaglia sia chi fa fretta all’ospite che non vuol partire, sia chi lo trattiene se ha fretta” – Omero.